Universo disney: la poetica di ratatouille

ASSUNTO FONDAMENTALE: “WALT DISNEY” NON È “LA DISNEY”

“Walt Disney “è stato il geniale poeta dell’infanzia ritrovata, colui che ha ri-animato l’America dopo la crisi del ’29 attraverso un disegno fattosi arte visionaria e arbitraria, rivoluzione poetica che il nuovo patto sociale richiedeva.

Dai tempi in cui Disney educava i suoi animatori al movimento e alla rappresentazione grafica di moti complessi, facendogli vedere immagini al rallentatore di vecchi grassoni che saltellavano giulivi per osservare la “meccanica” della ciccia, (vi ricordate Gongolo che balla le danze irlandesi per Biancaneve?) fino alle sfide più ardue come rappresentare le emozioni in esseri inanimati quali luna e stelle (senza precedenti fino ad allora) ad oggi, i disegnatori sono divenuti fini conoscitori del mezzo animato. Il subconscio ormai la computer grafica lo dipinge quasi meglio degli attori, a voi le vostre conclusioni.

Quella di oggi è “La Disney” , industria dell’intrattenimento per famiglie. Potentissima e astuta, per carità, ma meno necessaria di quando il suo fondatore la creò; vi dirò, con rammarico: anche meno folle. Le storie sono divenute negli ultimi anni sempre più convenzionali e macchinose, frutto del lavoro di sceneggiatori che applicano le regole di scrittura come a risolvere un’espressione algebrica. Mancano quei tocchi espressionistici che hanno reso note scene come l’incubo di Dumbo con gli elefanti rosa, o la preziosa battaglia a colpi di plurimorfismi animali tra Merlino e Magò, retaggio delle geniali esperienze delle Silly Sinphonies.

Eppure oggi ho ritrovato lo spirito di zio Walt; l’ho ritrovato, guardacaso, in un TOPO che si chiama Remy ed è primattore del celebrato “Ratatouille”.

C’è lo zampino della Pixar, è vero; ma c’è, più forte secondo me, lo stampino del primo Walt Disney, quello che cercava la storia della diversità, quello che ha inventato un toro che amava i fiori e una balena che voleva cantare al Met.

“Ratatouille” è la romantica storia di un topo che vuol fare il cuoco e sapete che c’è? Ce la fa pure. La belena Ugoladoro potette farcela solo in paradiso.

Suo ispiratore è un tale Cousteau, un cuoco defunto che inneggiò alla possibilità per chiunque di imparare a cucinare. Riecco il sogno, il Paradiso Ritrovato, riecco allora le lacrime, la sensazione che la vita ci può riservare delle sorprese, riecco il senso del coltivare le proprie aspirazioni in una frase che, finalmente, non dimenticherò, pronunciata dal recensore del topo-chef: “Non tutti possono essere grandi artisti, ma un grande artista può celarsi in chiunque”.

Simone Leonardi

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