Il rito: recensione film in sala

GRANDE ATTORE NON SIGNIFICA BUON FILM, SPECIE SE MANCA LA VOGLIA

Di certo ha giovato all’ultima pellicola di Mikael Hafstrom (“1408”) l’ambientazione romana visto il notevole successo che sta avendo: nelle sale piene inoltre si puo’ anche intravedere qualche curioso individuo della ‘classe’ clericale. Il film è infatti basato su fatti realmente accaduti (la domanda è quando e dove?). Un giovane prete in crisi di fede viene mandato a Roma per seguire una scuola di esorcismo esclusiva. Sulla sua strada incontrerà una giornalista che ha avuto dei traumi familiari legati alle possessioni demoniache e un personaggio inquietante che sembra tanto un Hannibal Lecter con colletto bianco.

“Il rito” è un horror abbastanza atipico che cerca di documentare i ‘dietro le quinte’ degli esorcismi in maniera perfino più audace del recente “L’ultimo esorcismo”, vista l’ambientazione in pieno Vaticano. Peccato che un tema così importante venga lasciato a se stesso. Fin dalle prime scene notiamo una certa mancanza di coesione tra le varie scene, musiche posticce e perfino uno standard ‘medio-basso’ di recitazione a cominciare dall’inespressivo protagonista, Colin O’ Donoghue che sembra un prete uscito da Men’s Health. Poi abbiamo veterani quali Rutger Hauer, Ciaran Hinds e Alice Braga che recitano direttamente col pilota automatico, come se non avessero compreso nulla della sceneggiatura: memorabile Maria Grazia Cucinotta che appare cinque minuti senza aprire bocca. Che dire invece di Anthony Hopkins, il cui faccione appare quasi schiacciato da una croce nella locandina del film? Probabilmente l’attore inglese è qui al suo peggio e chi è rimasto deluso dalla sua interpretazione in “Wolfman” probabilmente proverà grande dolore a vederlo qui mentre imita se stesso, tra smorfiette, sguardi persi nel vuoto e minacciose mani tremanti. Giusto una gag col cellulare fa riaffiorare il genio del grande attore de “Il silenzio degli innocenti”, ma purtroppo è roba di pochi secondi. Mikael Hafstrom è incapace di creare la suspence perfino nei momenti che sulla carta sembravano terrificanti, come l’esorcizzazione della ragazza incinta: giusto qualche effetto audio per far saltare lo spettatore sulla sedia e il gioco è fatto.

Il tema dell’uomo di fede in crisi era inoltre stato trattato con risultati più dignitosi in “Exorcist. The Beginning” film diretto coi piedi da Renny Harlin, ma comunque scritto meglio di questa accozzaglia di stereotipi sugli uomini di chiesa e sugli italiani (non mancano neanche quelli, ahimé). Insomma il cinema horror sta dando il proprio peggio in questi primi mesi dell’anno, vedi anche il recente “Dylan Dog”: speriamo che John Carpenter e Wes Craven ad aprile tornino a spaventarci con stile, come accadeva tempo fa e noi tutti uscivamo soddisfatti dal cinema.

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