Come l’acqua per gli elefanti: recensione

NOIOSO E BORIOSO, IL MELO CON PATTINSON SI TRASCINA TRA GLI SBADIGLI

Come il miele per gli orsi, come il riporto per Donald Trump, come il cacio sui maccheroni, “Come l’acqua per gli elefanti”. Tante le metafore odierne che si possono trarre come ispirazione dalle notizie che ogni giorno leggiamo su giornali web e tv, nessuna però è così vaga come l’ultima da noi citata.

Titolo del film diretto da Francis Lawrence, parla di una circense storia d’amore tra il giovane quasi-veterinario Robert Pattinson e la stella del tendone dei Fratelli Benzini, Reese Witherspoon. Chiaramente di mezzo c’è un contrasto vagamente Shakespeariano, quello col marito Hans Landa, alias Christopher Waltz (pericolosamente sempre sull’orlo dello stesso personaggio) e una vita on the road di magrissime consolazioni.

Fortuna c’è l’elefantessa Rosie, fulcro improbabile del racconto, a tessere sottili trame del destino, perché l’intrigo romantico, altrimenti, è più telefonato di un rigore rasoterra e le emozioni, in pacchianissimo stile “Titanic”, latitano parecchio, tant’è che proprio come il famoso relitto, la soap opera imbarca acqua da tutte le parti.

L’intreccio sentimentale che parte da un lungo e improbabile flashback è dei più noti che la storia della settima arte abbia raccontato sul grande schermo, l’amore impossibile, il tiranno violento che cerca solo il profitto, il mezzo sorriso sulle labbra e una rabbia crescente, il giovane spavaldo che si invaghisce della bella…e stavolta possibile.

Doppiato malissimo ad onor di cronaca, la produzione Fox s’impalla ogni qualvolta che il registro da momento aulico circense (scena cult con Pattinson vestito da donna), vira bruscamente nel dramma da straccioni, in un melenso neorealismo neomoderno che depreda ogni fondamento dal genere italiano più famoso di sempre (nonché unico).

La funesta lotta per la bionda Marlene, all’interno di un business in crisi, assume i connotati di una tragedia annunciata, salvo poi imboccare la via del bene sofferto, perché solo attraverso l’espiazione si giunge allo scopo finale. Che ancora non è ben chiaro quale sia, ma in compenso ha suscitato nel qui presente spettatore un sano istinto primario: dormire della grossa.

Come quando fuori piove, come l’acqua per gli elefanti.

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