Venezia 2011: tinker, tailor, soldier, spy (la talpa)– recensione

RITORNA LO SPIONAGGIO ANNI ’60, MA IL RISULTATO SOLO SUFFICIENTE

Il film di Tomas Alfredson era uno dei titoli più attesi a questa 68esima Mostra del cinema di Venezia. In primis perché era dato dai bookmaker come il probabile filo di apertura, sostituito poi dal glamour de “Le idi di marzo” di Clooney, in secondo luogo perché tratto da un romanzo di successo e infine per i nomi eccellenti di cui si compone il cast. Gli unici però che possono gioire per il risultato finale di questo lavoro sono i veri appassionati delle spy-story, dato che il film è ricco, anche fin troppo, di intrecci narrativi e personaggi, che però hanno la capacità di confondere chi invece si reca in sala solo per godere di un film. La storia di “Tinker, Tailor, Sordier, Spy . La Talpa” è tratta dall’omonimo romanzo di John le Carrè del 1974 e si ispira alla stoira di Kim Philby, il celebre infiltrato del KGB all’interno del MI6 britannico. Da questo spunto parte Alfredson per narrare la sua di storia, avvalendosi di attori (tutti uomini!, ma è ambientato subito dopo la guerra) veramente straordinari, capeggiati da un bravissimo Gary Oldman. Forse è proprio il cast (Toby Jones, Colin Firth, Mark Strong, Tom Hardy, John Hurt) a non far annoiare del tutto, dato che il livello di attenzione deve essere mantenuto sempre alto, se si ha voglia di capire qualche cosa di tutta la trama: distrarsi un secondo può essere fatale, perché il film è ridondante, come detto, di subplot. La narrazione procede in modo lineare e non cerca nemmeno per un momento di confondere le acque e le troppe spiegazioni, spezzando il ritmo del montaggio, rovinano un po’ il gioco di scoprire il colpevole, che sta alla base di ogni racconto sullo spionaggio. Nel momento in cui Alfredson abbandona le parole per dedicarsi solo a mostrare visivamente il suo film (ovvero nel finale), il livello improvvisamente si eleva e anche se per pochi minuti si può gioire di ciò che si è visto. Certo c’è da dire che il regista è anche riuscito, attraverso le immagini (merito del direttore della fotografia) a ricreare i colori plumbei del mondo della politica degli anni ‘60, quando tutto il mondo attendeva con ansia quell’apocalittica terza guerra mondiale che, fortunatamente, non ha mai visto la luce. Non esaltante, ma c’è di peggio!

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