La chiave di sara: elogio del film

UN SEGRETO DAL PASSATO UNISCE LE VITE DI DUE DONNE, VISSUTE IN TEMPI DIVERSI

Le opere dedicate alla Shoah sono numerosissime, soprattutto in campo letterario e cinematografico, con documentari ma soprattutto film di finzione. Ecco la nuova arrivata: “La chiave di Sara” è un romanzo del 2007 della giornalista e scrittrice francese Tatiana De Rosnay, che ha dato la sua benedizione al regista Gilles Paquet-Brenner e allo sceneggiatore Serge Joncour, francesi anche loro, per adattarlo su pellicola. Il risultato è ottimo, un po’ per la professionalità dei due autori, un po’ per il tipo di storia, particolarmente adatta al linguaggio proprio del mezzo cinematografico.

Julia Jarmond è una giornalista che deve preparare un articolo sui dolorosi fatti del Velodromo d’Inverno. Sara è una bambina ebrea che nel 1942 viene rinchiusa nel velodromo con la sua famiglia prima di essere portata nei cambi di lavoro. Due vite e due epoche lontane che nel 2009 si incrociano per un assurda fatalità: la casa in cui Julia sta per trasferirsi con il marito e la figlia, apparteneva alla famiglia di Sara, prima che venisse deportata.

Una vicenda forte, con molte sfaccettature, che lascia poco spazio al sentimentalismo spicciolo finalizzato a commuovere il pubblico più semplice. Molte le questioni messe in gioco: prime fra tutte il valore della memoria e il suo possibile logoramento a causa del passare del tempo. Una storia di memoria che va tenuta viva, la memoria di un fatto misconosciuto ai più che è parte di uno molto più grande, che comunque non va dimenticato. Un film sulla shoah è vero, ma c’è molto di più: mostra i tratti del thriller ma mantiene il suo carattere fortemente drammatico.

Temi fondamentali sono il valore della verità, che non può essere occultata per sempre, e la questione della colpa delle guardie del campo e dei civili presenti ai fatti, che non sono intervenuti in nessun modo. Quest’ultimo è un argomento difficile da affrontare: Hanna Arendt ci era riuscita e questo film in qualche modo tenta di riprendere le sue complesse conclusioni.

Dal punto di vista tecnico, “La chiave di Sara” si dimostra un piccolo capolavoro: stupende le scene caotiche all’interno del campo, potenziate da un uso espressivo del sonoro molto ben curato. Una regia interessante quella di Paquet-Brenner, dai tratti moderni. La stupenda fotografia di Pascal Ridao è l’unico vero distinguo tra il 2009 e il 1942: interpretando perfettamente le diverse atmosfere delle due epoche, rende inutile l’utilizzo di targhe o scritte con l’anno corrente. Una pellicola capace di comunicare (e non solo con la tragicità delle scene): lo spettatore sarà davvero emozionato.

Una storia lunga settant’anni, raccontata da due tempi che sembrano rincorrersi lungo tutta la durata del film, in un tempo del racconto moderno, a volte brusco, ma particolarissimo.

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