L’arte di vincere – moneyball: recensione film

SEMPLICE E IMMEDIATO, UN’OPERA SPORTIVA DI GRANDE GUSTO ESTETICO

Quando la palla insacca il guantone si grida allo strike, quando la palla sorvola lo stadio si grida all’homerun. Il pubblico si infiamma, il punto è a casa base, la partita in pugno: come si può non essere romantici con il baseball? “L’arte di vincere” prova a darci una risposta. È la domanda che si chiede, infatti, da tutta una vita Billy Bean, promessa mancata del professionismo americano, quella tanto osannata MLB che incanta milioni di telespettatori e tifosi sparsi su tutto il territorio a stelle e strisce. Assunto come general manager dagli Oakland Athletics, nella stagione 2001 sfiora la finalissima, le Word Series, l’anno successivo smantella la squadra e punta al titolo.

Come? Utilizzando la tecnica del Moneyball. Quel tipo di gioco basato su proiezioni statistiche tra i pro e contro dei giocatori presenti nella lega, con cui provare a rivoluzionare lo sport: un metodo di risparmio puntellato su budget ed efficienza organizzativa. Brad Pitt sputa-tabacco si cala nel ruolo e con dignitosa classe si becca l’Oscar nomination a suon di occhioni e fisicità intensa, specie per uno che sta per compiere mezzo secolo, ma appare ancora in forma clamorosa.

L’amore per il gioco è una molla che spinge molti atleti a tornare anche dopo il ritiro, per qualunque gioco o sport sia. Nel caso specifico Bennet Miller riporta in auge un genere che viene trascurato dalle grandi major, quel racconto sui campi d’America in cui ogni impresa è possibile, umana e sportiva, specie nel momento in cui si rischia tutto per le proprie convinzioni.

Tratto dal libro “Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game”  di Michael M. Lewis, il film è intriso di quei sentimentalismi adatti per l’occasione, ma ne esce tutto sommato lindo e pinto, scrollandosi di dosso l’inevitabile melassa grazie ad una regia efficace anche quando incompleta. Merito soprattutto di un impianto narrativo capace di dare peso alla commedia e valore al racconto, nel binario tra flashback e daybyday, che si evolve in maniera pulita su un binario temporale di pochi mesi, nella stagione dell’annata 2002.

Alla ricerca del colpo grosso che (forse) potrà rivoluzionare lo sport con una nuova filosofia. Sul campo, nella vita, grazie al coraggio di uno (ben sostenuto dal giovane compare Jonah Hill) che in passato è stato giocatore ed ha sprecato la sua occasione. Non sono solo soldi, quindi, sono scelte di vita e quanto un plot lineare ti tocca nel profondo allora è impossibile negare che l’operazione cinematografica sia riuscita.

Come non si può essere romantici col baseball? Provate a spiegarcelo dopo aver esultato in sala. 

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