Approfondimento:…e ora parliamo di kevin

ESSERE MADRE DI UN ASSASSINO

…E ora parliamo di Kevin, diretto da Lynne Ramsay e ispirato all’omonimo romanzo di Lionel Shriver, è un horror, un thriller psicologico, una riflessione sul male, sulla maternità e sui pensieri più inquietanti e reconditi di ogni gestazione.

Cosa spinge un ragazzino di 15 anni ad uccidere con arco e freccia sette compagni di scuola, un insegnate, un dipendente della scuola, il padre e la sorellina? Cosa volevano dimostrare e a cosa pensavano i due adolescenti della Columbine High School sparando sui ragazzi della loro classe?

E in generale, come nasce un assassino, uno psicopatico? Anche Eva, la madre di Kevin, si pone queste domande. Oppressa dal dolore e dal senso di colpa, dalla convinzione di aver fallito come madre, deve coinvivere con la consapevolezza di aver creato un mostro. Tra continui flashback e flashforward e un montaggio sonoro ugualmente destabilizzante, il film ripercorre i quindici anni di vita di Kevin e il suo rapporto con la madre. In questa vivida e affascinante narrazione, il colore rosso (i pomodori, la marmellata, il sangue) fa da filo conduttore della storia preannunciando il tragico epilogo finale.

Kevin (Rocky Duer, Jasper Newell, Ezra Miller) dimostra sin dall’inizio una natura difficile e manipolatrice. In presenza della madre piange ininterrottamente e non sorride mai, si chiude in un mutismo ostinato e soprattutto sembra provare un piacere perverso nel dispiacerle. Con il padre (John C. Reilly), totalmente ignaro della doppia natura del figlio, appare invece dolce e mansueto.

Certo, Eva non è una madre perfetta. Kevin è il frutto di una gravidanza non cercata e fonte di infinita frustrazione per lei. L’arrivo del figlio ha significato rinunciare al suo lavoro e lasciare l’amata New York per trasferirsi in periferia. Eva non prova nessuna emozione la prima volta che tiene in braccio il figlio, ma con il tempo accetta il suo ruolo di madre e tenta disperatamente di entrare in contatto con lui e di porre un argine alla suo carattere violento. Eva non è, nel suo insieme, una cattiva madre. Lo dimostra l’amore che prova per la secondagenita, una bambina dolce e perfettamente “normale”, e che rappresenta per lei il suo riscatto in quanto madre.

La crudeltà di Kevin, e il suo folle gesto, pianificato per mesi con grande ostinazione e lucidità, sono quindi solo in parte riconducibile all’anaffettività della madre, alla consapevolezza di essere un figlio non voluto. Non c’è una spiegazione definitiva alla perversione di Kevin: né la società né la famiglia sono da incolpare. Il perchè del massacro che compie, così come il perchè delle stragi nelle scuole americane e in generale di ogni far male, rimangono in ultima analisi senza risposta. Il male è un fatto e non ha bisogno di giustificazioni. Kevin stesso, due anni dopo in carcere, non sa rispondere ai “perchè” della madre.

Tra Eva e Kevin c’è un un rapporto viscerale e una distanza incolmabile. Un odio che ha l’intensità dell’amore. La strage che compie è una vendetta studiata nei minimi dettagli, uno spettacolo tragico che Kevin metta in scena per esclusiva fruizione della madre. Eva è il suo audience e per questo le toglie tutto, ma non la vita. Non si uccide il proprio audience, dice ad un certo punto Kevin.

…E ora parliamo di Kevin è un film complesso che affronta e rompe alcuni dei tabù più radicati della nostra società: la santità della madre, l’amore incondizionato tra madre e figlio, e quello dell’innocenza dell’infanzia. In questo senso il film (e il libro) esplora alcune delle tematiche più disturbanti per la sensibilità moderna: il tema della gravidanza non voluta e quello dei timori piuprofondi e rimossi di ogni madre: la paura di non amare il proprio figlio, di non riuscire a connettere con lui, di non piacergli e infine, la più terribile, di mettere al mondo un figlio “cattivo”, un mefistofele. Forse solo nella mitologia greca il tema del conflitto fra genitore e prole viene affrontato con una tale forza e libertà.

E il personaggio di Eva (che, non a caso, è il nome della prima madre) possiede proprio la tragicità e l’ambivalenza di un’eroina greca: una donna forte e debole allo stesso tempo, addolorata, che ama, odia e teme il frutto della sua stessa carne e con il quale lo spettatore non riesce a simpatizzare fino in fondo. Un ruolo difficilissmo che Tilda Swinton, forse proprio per il suo fascino alieno ed enigmatico, interpreta con grande potenza e sensibilità.

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