Cannes 2012, un sapore di ruggine e ossa: recensione

DUE PESI MASSIMI DELLA RECITAZIONE PER AUDIARD, COMPRESA UNA MARION COTILLARD PERFETTA!

Ce l’ha fatta ancora una volta. Audiard dopo l’exploit del suo “Il profeta” rischia di fare il bis con un’opera diversa, “De Rouille et d’os”,altrettanto violenta, ma con una parabola di fondo sulla difficoltà dei rapporti umani che fa da collegamento con il suo terzo film, per molti sconosciuto.

La storia ruota attorno a Alain, un personaggio con figlio di sei anni a carico, dal passato ambiguo che passa da un lavoro all’altro, sfruttando la sua forza e la sua stazza. Al suo ritorno a Nizza dalla sorella che non vedeva da anni, riesce in poco tempo a entrare in un giro di lotte clandestine. Nel frattempo fa la conoscenza di Stephanie, una ex-domatrice di orche in un parco acquatico che in seguito a un incidente non ha più le gambe. I due iniziano una relazione, ma non sarà tutto rose e fiori.

Non siamo molto distanti dalle atmosfere del film di cui stavamo parlando prima. In “Sulle mie labbra” infatti potevamo assistere a una storia d’amore tra un personaggio losco e una sordomuta: il tema dell’handicap in tutti e due casi viene comunque trattato con una sensibilità rara nel cinema europeo, se non addirittura mondiale. Ma Audiard fa di più, perché fin dalle prime immagini riesce a unire l’universo fiabesco e cupo di quell’opera (basterebbero i soli titoli di testa a testimoniarlo, belli come un quadro impressionista), con quello più violento ed epico del suo penultimo film. Quello che manca è però quell’elemento grezzo, viscerale che aveva reso “Il profeta” un’opera indimenticabile: lì la violenza era senza via di scampo, qui c’è l’elemento amoroso che dovrebbe anche depurare lo spettatore dalle ondate di sangue che vediamo in certe scene, ma si ha l’impressione che talvolta Audiard non sempre riesca a ben bilanciare il tutto.

“De ruille et d’os” lascia comunque il segno, soprattutto se andiamo a vedere i due protagonisti, due veri ‘pesi massimi’ del settore. Sul serio, non si sa chi sia più impressionante se l’esordiente  Matthias Schonaerts, con la sua montagna di muscoli e la sua tenerezza che emerge a tratti anche nei modi più inaspettati, o la fragile Marion Cotillard che con quei suoi occhi in cui sembra celarsi tutta la tristezza del mondo riesce a farci provare il tormento della sua condizione: un esempio classico, la scena in cui scopre di aver perduto le gambe, qui arricchita da una scelta di macchina statica e senz’alcun accompagnamento di musica, per rendere più partecipe lo spettatore.

Tutto sommato, pur con alcuni difetti, si tratta di un’opera potente che in più tratti è capace di scuotere lo spettatore e in alcune scene i brividi sono assicurati. E Audiard, si sa, è sempre un nome di punta tra i cineasti francesi e non mi stupirei sei in futuro la gente lo considererebbe, come noi ora consideriamo Truffaut o Godard. Si spera solo che la sceneggiatura del suo prossimo film sia un po’ più solida.

 

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