Viaggio in paradiso: recensione film pulp

IN UN CLIMA TORRIDO GIBSON FINISCE IN MESSICO E SFOGGIA UNA PROVA DA FENOMENO

Polvere e sudore, birra da discount e pacchi di sigarette, El Mariachi di Rodriguez e Tarantino agli esordi, Franco Nero e tanto caldo: Viaggio in paradiso è un film pulp a cinque stelle. Magari 4 pensando che l’idea non è così brillante sulla carta, ma la resa in scena è ottima, il ritmo incalzante e le battute al fulmicotone. E poi c’è una stella al servizio del popolo, anzi del pueblito, carcere messicano dove lo rinchiudono: Driver aka Mel Gibson. Ritornato ai suoi fasti in punta dei piedi, alla carne della sua carne, interpretando un personaggio denso di sangue e rapine come suo marchio di fabbrica, prima che Hollywood cercasse di corromperlo.

Dopo un colpo andato male, il “nostro” si ritrova in uno strano carcere al di là del confine, quasi a conduzione mafioso-familiare, in cui molta gente paga…per viverci insieme ai detenuti. Per sopravvivere devi essere più furbo, più veloce, spietato e allo stesso tempo estremamente umano. Prodotto in parte dallo stesso Gibson, l’attore torna nei panni di un outsider in un film indie che mescola pulp e satira sociale, con un pizzico di ganster movie alla Coen, risultando credibile e finalmente libero da vincoli e stereotipi.

Un tuffo rigenerante nella bassa lega, dove l’attore sfodera tutte le sue armi di grande ammaliatore da grande schermo e, nonostante l’età non più giovanissima, sembra uscire diretto dai romanzi dust&guns di Michael Connolly, quale degno rivale di Henry Bosch, tanto per intenderci. Ma qui si parla di antieroe positivo e al giorno d’oggi trattare con tanta disinvoltura il problema gravoso che affligge le carceri messicane non è cosa da poco. Specie se raccontato come una ballata western in cui duelli e onore sono tutti all’ordine del giorno.

How i spent my summer vacation o meglio ancora, in originale, Get the Gringo, è una commedia dark diretta da Adrian Gruatinberg, distribuito negli USA direttamente in formato video-on-demand, mentre da noi trova distribuzione e di questo siamo grati alla Eagle Pictures. Invece di propinarci schifezze da teenager, finalmente riusciamo infatti a goderci un’opera piccola ma potente, minimalista e metodica, efficace e rude come un certo cinema selvaggio che fatica a resistere.

La ode con lode al passato di Gibson diventa un piacere per lo sguardo, fa bene alla salute del cinema, rinfrescando e refrigerando il cuore inaridito dal clima torrido di storie inutili, sabbia e calura, polvere e sudore.

 

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