Venezia 69: el sheita elli fat (winter of discontent) – recensione

LA RECENTE STORIA DELL’EGITTO VISTA ATTRAVERSO TRE PERSONAGGI CHE FANNO DA SPECCHIO DI UN PAESE

GENERE: Drammatico / Film di Denuncia

Gli eventi di Piazza Tahrir nel Cairo con la quasi totale popolazione che chiedeva un cambiamento al governo di Mubarak si sono svolti appena un anno fa: eppure fin’ora nel cinema tale avvenimento è stato ripreso per ben due volte. Prima nel documentario di Stefano Savona Piazza Tahrir, la seconda con il film di Ibrahim El Batout che per comodità chiameremo col titolo inglese, Winter of Discontent, passato nella sezione Orizzonti.

Il film segue attraverso due binari temporali (2009 e 2011) le storie di una conduttrice televisiva, un manifestante politico e un capo della sicurezza di Stato che vivono sulla loro pelle la pressione di un governo che non lascia loro libertà: l’ultimo dei tre personaggi è costretto a una crudeltà quasi inconciliabile con la figura di padre tenero che ricopre nella vita privata. Invece il manifestante insieme ad altri verrà torturato per diversi giorni e attraverso l’incontro con la conduttrice del telegiornale, i cui occhi si sono da poco aperti alla verità, cercherà in ogni modo di fare giustizia.

Difficilmente vedremo il film di El Batout nelle nostre sale, per via di un ritmo di narrazione non sempre vivace e la quasi totale assenza di musiche, caratteristiche in fondo tipiche del cinema di questa parte del mondo. Ma è senza dubbio interessante vedere che faccia abbiano alcune delle persone comuni che sono state coinvolte negli eventi di piazza Tahrir e, più in generale, nella storia di un paese che non conosciamo, se non attraverso le poche immagini che arrivano sui nostri televisori. In fondo la pellicola in questione fa da perfetto contraltare al documentario di Savona: mentre lì venivano svelati i fatti allo spettatore, qui viene messo in scena l’animo di chi è stato coinvolto nei recenti fatti di cronaca egiziani e le emozioni sono assicurate grazie anche all’autenticità delle interpretazioni da parte di tutto il cast.

Preziosa è anche la regia che riesce a creare una certa atmosfera di paranoia, che ci spinge a entrare nel punto di vista disperato del protagonista, a un certo punto quasi pronto a gettare la spugna. Notevoli anche certe situazioni cromatiche, in un film che tutto sommato a livello visivo non ha niente da invidiare ai film in concorso, anzi. La messa in scena di El Batout è capace di ricreare l’oppressione di un paese che ha sofferto tanto e che ha bisogno di rialzarsi e chiedere un ribaltamento della situazione.

 

(2 Settembre 2012) 

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