Roma film fest –tar: recensione film

JAMES FRANCO PER I DODICI REGISTI, MANCA PERÒ L’ORIGINALITÀ 

Un jet set di registi: è così che è stato descritto l’ultimo lavoro che vede protagonista come attore e non come autore James Franco. Dodici i registi che si sono uniti per Tar, progetto nato per raccontare e dare immagine alle parole del poeta e premio Pulitzer Williams.

Il poeta è interpretato dall’attore statunitense e accanto a lui Mila Kunis nei panni della moglie. Quello rappresentato in Tar è un susseguirsi di immagini intrecciate tra memoria e presente, un viaggio attraverso le parole del poeta e le sensazioni  da lui descritte nelle sue poesie, e che nel film si cerca di trasportare in brevi ma intensi fotogrammi intrecciati tra loro. Un passato che non lascia mai la mente del protagonista che osserva la realtà che lo circonda, dove piccoli particolari della quotidianità riportano alla mente situazioni del passato, in particolare dell’infanzia e dell’adolescenza.

Un viaggio nella memoria che sembra catturare il protagonista quasi facendogli dimenticare l’importanza di vivere il presente tanta è la paura di perdere i bei momenti passati, insieme al prendere coscienza di quanto quei brevi attimi abbiano acquistato un’importanza e un posto nella memoria solo dopo averli vissuti. Un percorso tortuoso che riporta alle origini ma che allo stesso tempo fa comprendere anche l’importanza del presente.

Film poetico che però ricorda in troppi aspetti le ultime opere di Malick, un esempio tra tutti  The tree of life per le inquadrature, fotografia e voci fuori campo. Se poteva essere un buon progetto e un buon film, probabilmente l’errore è stato nella poca originalità della narrazione

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