Lo Hobbit – un viaggio inaspettato: recensione film

IL VIAGGIO PREQUEL NELLA TERRA DI MEZZO RIPORTA JACKSON INDIETRO NEL TEMPO. MA SENZA FIAMMATE

locandina lo hobbitGENERE: fantasy

USCITA IN SALA: 13 dicembre 2012

DURATA: 166 minuti

VOTO: 2,5 su 5

Mio caro Frodo, ci credi se a posteriori ti raccontassi una storia identica alla tua, pur con qualche differenza? La compagnia dell’anello è come un viaggio inaspettato per Lo Hobbit, noi abitanti di Gran Burrone siamo persone solari e pacifiche, ma possediamo il dono dell’avventura e un incontrollata indole che ci distingue, capace di farci finire nei guai, ma anche andare incontro al destino della Terra di Mezzo”.

Quattro righe ci sono volute per spiegare un’altra opera sacra del maestro Tolkien, l’avventura fantasy ambientata prima de Il signore degli anelli e riportata una decade dopo sullo schermo dallo stesso Peter Jackson, il principe della Nuova Zelanda cinematografica, almeno dal mio punto di vista naturalmente. Quattro righe in cui si condensa la meraviglia di un racconto totale e dal respiro epico, un viaggio comune in un mondo totalmente fuori dall’ordinario, girato in maniera sostanzialmente differente dalla “volta scorsa”. Con molta meno immaginazione.

La storia di Bilbo Baggins, mezz’uomo coinvolto suo malgrado dallo stregone grigio Gandalf ad aiutare i nani capitanati da Thorin a riprendersi il regno di Erebor, controllato dal drago Smaug, è un’operazione complessa e costosa, che ha messo a dura prova cast tecnico ed artistico, già provato dall’esperienza triennale della prima saga. L’inserimento ulteriore della tecnica a 48fps (fotogrammi per secondo) è un’aggiunta non necessaria ad una storia che sembra adatta ad un lunapark.

Introduzione necessaria, ma lunghissima e tediosa, che incespica sul ritmo e punta ai palati più grossolani, poi Un viaggio Inaspettato comincia con brio e allora rieccoci tornati nel paese delle meraviglie, in cui tutto può succedere e la natura regna incontrastata. Jackson accompagna un buon Martin Freeman, sir Ian McKellen e la combriccola di guerrieri nani lungo sentieri tortuosi, montagne, pianure e caverne come aveva fatto con Frodo e Aragorn. Nella stessa identica maniera, tra orchi, negromanti e pericoli oscuri.

Come una sequenza girata in contemporanea nello stesso scenario, senza l’effetto sorpresa e con accelerate su campi lunghi che stordiscono lo sguardo. Il rischio della ripetizione si mescola vorticosamente alle trovate digitali, così tra alti e bassi, momenti di stupore e sbadigli vari, la trasposizione di Tolkien procede a fasi alterne e il cammino dei nostri bassi eroi viene minacciato in ogni parte dalle iniquità della sceneggiatura. Che okay riporta fedelmente alcuni passaggi chiave, ma si discosta in maniera netta dalla drammaturgia dell’opera intera.

Lo Hobbit è una fiaba che prende con coraggio una direzione contraria rispetto alla moda favolistica del gotico, pur trattando temi di semplice quotidianità cavalleresca, tenta la strada della tensione emotiva per un pubblico globale, quello che si appassiona a scontri medievali di cappa e spada, quello che vivrebbe volentieri in un universo incantato, quello che plaude ai valori universali di lealtà e amicizia.

Tutti e tre connessi idealmente in un triplice episodio diluito, che rischia in questo modo di perdere la potenza visiva acquisita nel corso degli anni e decimare legioni di fan a svantaggio del box office di Sauron.

Mio caro zio Bilbo, non ti avanza ancora l’erba pipa, vero?” 

 

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