Searching for Sugar man: recensione film

SEARCHING FOR SUGAR MAN, L’APPASSIONANTE STORIA DA OSCAR DI SIXTO RODRIGUEZ

searching for sugar man locandinaGENERE: documentario

DURATA:

DATA DI USCITA: 10 giugno

VOTO: 4,5 SU 5

Anche tra gli appassionati di musica più convinti, il nome di Sixto Rodriguez – conosciuto anche come Rodriguez – difficilmente dirà qualcosa. Dopo aver fatto due album notevolissimi, ma dal risultato commerciale scarso, il cantante folk di origini messicane è scomparso dalla circolazione e secondo alcuni si è dato fuoco durante un concerto e secondo altri è morto per overdose in una prigione del Sud degli Stati Uniti. Ma qualcuno giura di averlo visto vivo e vegeto per le strade…

Il documentario musicale è sempre stato un genere a parte nel corso degli anni, seguito per lo più dai fan del gruppo o dell’artista solista a cui la pellicola faceva riferimento. Eppure Searching for Sugar Man a differenza di altri titoli simili, indirizzati più al mercato home-video che al grande schermo, si è fatto notare fin da subito: in pochi avrebbero detto che un documentario inglese diretto da uno svedese su un cantante sconosciuto avrebbe fatto il giro dei festival di mezzo mondo, riuscendo ad arrivare alla Nomination all’Oscar per il Miglior Documentario. Ma qual è il suo segreto?

Di solito, pellicole del genere sono utili per carpire quante più informazioni possibili su di un determinato artista, sul suo genere musicale di riferimento e sul suo percorso che lo ha portato dalle stalle alle stelle. Qui invece vista la storia fuori dall’ordinario di Sixto Rodriguez ci porta su strade mai battute dal classico ‘bio-pic’ hollywoodiano. Il regista Malik Bendjelloul gioca con le carte dei generi cinematografici, ricavando dalle varie ricerche e interviste un’inchiesta degna del miglior ‘detective-movie’, dove non mancano riferimenti alla politica degli anni ’70, visto che i testi delle canzoni tratte da Cold Fact (il suo primo album) hanno contribuito a movimenti di ribellione e emancipazione nel Sud-Africa, colpito dalla piaga dell’Apartheid.

Insomma non sono neanche passati trenta minuti che al posto di un didascalico ritratto della vita di un cantante, ci troviamo di fronte a un noir d’altri tempi con una lezione di Storia tra le più stimolanti che il cinema ci abbia offerto negli ultimi tempi. Ma non basta, perché a ciò si aggiungono scene d’animazione di grande raffinatezza e colpi di scena che sembrano usciti dallo Shyamalan dei tempi migliori.

La cosa che più sorprende è che usciti dalla sala, ci si asciuga gli occhi lucidi, ma non per la depressione. Abbiamo assistito nell’ultima ora e mezza ad elementi di riscatto e determinazione che in momenti di crisi sono terapeutici per lo spettatore che magari ha perso la fiducia nel proprio presente. E dunque alla fine uno si rende conto che ha appena assistito non al più classico dei documentari, ma a un originalissimo ‘feel-good movie’ (letteralmente ‘film che ti fanno sentire bene’) dove la musica risulta come l’arma più efficace contro le ingiustizie che logorano una società.

 

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