Captive: recensione film

BRILLIANTE MENDOZA REGALA UN DURO AFFRESCO STORICO RETTO DA UNA GRANDISSIMA ISABELLE HUPPERT 

GENERE: Drammatico/Thriller

USCITA: 21 febbraio 2013

Chi un minimo conosce i festival, avrà sentito senza dubbio il nome di Brilliante Mendoza: magari i suoi film non riescono ad avere la visibilità che meritano, ma uno che riesce a ottenere il posto d’onore nei vari concorsi di Cannes, Berlino Venezia e Roma (…) avrebbe senz’altro bisogno di ricevere una certa accoglienza anche da parte di certo pubblico che magari i festival non li frequenta. Va’ detto che pellicole come Thy Womb, visto a Venezia lo scorso settembre, magari non sono di facile ‘digestione’, ma sono tra quelle che ti lasciano qualcosa alla fine della visione, offrendo oltretutto un modo appassionante per conoscere una cultura a noi veramente sconosciuta come quella filippina.

Captive, passato al penultimo festival di Berlino, riesce ad avere la distribuzione nel nostro paese, grazie alla presenza dell’istancabile Isabelle Huppert, che nell’ultimo anno è riuscita a realizzare film anche in Corea e in Italia. Al di là della presenza dell’attrice il film va’ visto e discusso con calma, perché come Zero Dark Thirty riesce a integrare dramma e avventura con un senso del cinema da far invidia ai nostri registi, la maggior parte dei quali impegnati a replicare uno stile perfetto per le telenovelas brasiliane. O magari no, però pensare un Captive fatto in Italia ora come ora sarebbe impossibile.

Il film di Mendoza  si concentra sul rapimento di Dos Palmos e sulla presa degli ostaggi che durò un anno pieno. Il tutto visto dagli occhi della missionaria Therese (Huppert) che soffre non solo la morte dell’amica, ma anche i continui tentativi dei militari filippini di portare in salvo gli ostaggi che tra una sparatoria e l’altra, spargeranno sangue anche tra questi innocenti.

Difficile pensare a un argomento più duro di questo da portare al cinema. Sembra quasi di provare per le due ore di durata (a tratti eccessive, ma comunque necessarie) la fatica e il disagio fisico che gli ostaggi provano per tutta la loro odissea di dolore. Momenti di umorismo e umanità sono ridotti al minimo, talvolta tuttavia arrivano, portando emozioni non indifferenti, quando la Huppert cerca di avvicinare uno dei rapinatori praticamente adolescente per cercare di capirne le cause che l’hanno portato a tale scelta di vita.

L’utilizzo della macchina a mano è una scelta stilistica che, se nei primi momenti puo’ dare un po’ fastidio, ben si adatta all’affresco situazione. Nell’arco della narrazione Mendoza riesce a inserire dei momenti di sospensione dalla narrazione in cui è la natura ad essere protagonista: la sequenza in pieno film di un serpente preso nel tentativo di uccidere un pennuto sembra uscita dal miglior Herzog e ben si inserisce nel contesto che vede la natura come principale compagna degli ostaggi, ormai senza più speranza e fede. In poche parole entrate, ma sappiate ciò che vi aspetterà in sala: uno degli affreschi cronachistici più duri che il cinema ci abbia offerto in anni recenti. 

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