In treatment: recensione serie tv

LA NUOVA FICTION REMAKE (O COPIA INCOLLA) DELL’OMINIMO SHOW HBO

L’idea è dell’israeliano Hagal Levi che è stato il primo, con la serie tv BeTipul, a creare e portare in televisione una fiction totalmente incentrata su sedute di psicoterapia. Il suo format è stato ripreso in 12 paesi in tutto il mondo e la versione più famosa è, ad oggi, quella della HBO dove è stato dal 2008 al 2010, per tre stagioni, Gabriel Byrne a interpretare lo psicoterapeuta Paul Weston.

Ogni puntata della serie (che andava in onda dal lunedì al venerdì) era incentrata su un diverso paziente che in quel giorno aveva la terapia e il venerdì era lo stesso Weston ad andare in seduta dalla sua mentore per confrontarsi sui suoi casi e sulla sua vita privata in crisi proprio per colpa del lavoro.

Sky uno, in collaborazione con la7 e per la regia di Saverio Costanzo, ha prodotto un remake dell’omonimo show tv HBO che ha incominciato ad andare in onda in prima serata su Sky Cinema dal primo aprile e dove il personaggio principale, l’analista Giovanni Mari, è interpretato da un credibile Sergio Castellitto. Come nella versione americana le puntate seguono le sedute di 4 pazienti (una al giorno dal lunedì al giovedì) mentre il venerdì è lo stesso Mari ad andare in analisi da quella che è stata, e ricomincia ad essere proprio dalla puntata del 5 aprile, la sua mentore, Anna, che ha il volto della bravissima Licia Maglietta.

Al di là della bravura degli attori – fondamentale in una serie tv di questo genere dove tutto è ambientato in una sola stanza e la sceneggiatura è basata su dialoghi serratissimi, su espressioni che devono far trapelare ciò che non si è detto e la telecamera molto spesso si sofferma su importanti primi piani –  il problema palese di questa versione italiana di In treatment è che sembra, più che un remake, un vero e proprio copia incolla della sua sorella maggiore americana non solo nel format ma anche nelle storie dei pazienti.

Il lunedì Mari incontra Sara una donna che si è innamorata di lui e, nella prima serie made in Usa Weston incontrava Laura un’anestesista con lo stesso problema. Martedì per Mari è la volta Dario, carabiniere che sotto copertura è stato costretto a uccidere l’intera famiglia di un uomo diventato suo amici e nello stesso giorno il suo alter ego americano seguiva un paziente con una storia non molto diversa anche se avvenuta in Iraq…

Questi sono solo due esempi ma in realtà tutti i personaggi che girano intorno all’interprete principali hanno storie identiche, anche se “italianizzate”, a quelle dei loro originali statunitensi.

È per questo che, senza nulla togliere alla capacità attoriale di Sergio Castellitto e dei personaggi che gli girano attorno (una nota di merito va Kasia Smutniak e ad Adriano Giannini che sono stupefacenti, rispetto ai loro lavori passati in In treatment all’italiana), lo show televisivo di Sky risulta essere un ottimo clone di quello americano e non c’è nulla di male in questo (ma qualche mancanza di idee sì) anche se, per chi ha già visto la serie televisiva statunitense non vi è alcuna soprese nelle story lines dei vari pazienti, il che toglie non poca curiosità nei confronti del lavoro di Costanzo.

Se, come recita la stessa tag line, il cuore di questa fiction tv è rappresentata dai segreti che nascondono le cinque storie dei pazienti del dottor Mari/Castellitto perché non differenziarle, con la quantità inestimabile di problematiche psicologiche che esistono e intorno alle quali si sarebbero potuti plasmare i protagonisti e vicende a loro inerenti, da quelle già affrontate in America prendendo in prestito solo il mero format per giocarci e, una volta tanto, osare? Non facendolo In treatment all’italiana non è altro che una copia d’autore del suo omonimo d’oltreoceano e, con un po’ di coraggio, avrebbe potuto essere molto di più. Avrebbe addirittura potuto essere un lavoro originale.

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