Rob zombie: il metallaro di hollywood

DAL METAL ALL’HORROR SPINTO, UNO SGUARDO ALLA CARRIERA DI UNO DEGLI ARTIGIANI PIÙ APPREZZATI DELLO SPLATTER STATUNITENSE

Di certo non sarà stato difficile, ma il risultato è comunque da non disprezzare: Rob Zombie, artefice di un metal sporco, eppure orecchiabile, è anche un regista di talento, che è riuscito a portare un’aria di novità nell’horror statunitense, assillato da interpretazioni di scarso peso e da regie che sembravano rifarsi più allo stile di certe serie tv (trash) anni ’80 che al vero cinema di genere. Zombie (nome d’arte di Robert Bartleh Cummings) aveva già diretto gran parte dei propri video, tendenti il più delle volte a una messinscena ruvida, che combinasse il ritmo delle immagini con un gusto per il disgusto che si avvicinava a certi esempi dell’exploitation anni ’70: basti vedere come esempio il video di Dragula, inquietante e trascinante.

Quando iniziò a girare La casa dei 1000 corpi, prodotto da Andy Gould (Grindhouse), il regista aveva dalla sua l’Universal, disposta dal principio a distribuire il film, girato con pochi soldi, ma con tanta inventiva e una cricca di attori ripescati dall’oblio, come Sid Haig e Bill Moseley, apparsi in qualche produzione horror anni ’80 e la musa e moglie Sheri Moon Zombie, probabilmente l’assassina più sexy apparsa sugli schermi negli ultimi vent’anni. La major, impaurita dal distribuire una pellicola col divieto ai minori di 17 anni, decise di lasciare sugli scaffali la pellicola, fino al 2003, anno in cui la Lionsgate decise di riportare il film alla visibilità che meritava. Il film ebbe numerose critiche negative, ma col tempo si guadagnò un certo culto: visto come omaggio agli horror di Hooper e Craven, la pellicola diverte e incuriosisce per la sua visione malata e distorta che lascerà distanti soltanto chi fa il tifo per i protagonisti, pura ‘carne da macello’. Alcuni omicidi sono da cinematograficamente riusciti e la colonna sonora (per lo più dello stesso regista) è molto curata. Ma è con la pellicola successiva che Zombie arriva al successo.

La casa del diavolo – The Devil’s Rejects è un sequel del film precedente, ma distante dal suo stile sadico e barocco: le scene di omicidi raccapriccianti non mancano, ma questa volta viene consegnato al pubblico un epico film ‘on the road’ che trasforma i tre assassini in anti-eroi definitivi con cui, rispetto al prequel, è più facile empatizzare. Se dunque i principali punti di riferimento per La casa dei 1000 corpi erano i registi de Non aprire quella porta e Le colline hanno gli occhi, qui la principale ispirazione sembra Sam Peckinpah, in particolare quello di Voglio la testa di Garcia!

La scena finale con Free Bird dei Lynyrd Skynyrd in sottofondo è già diventata leggenda.

In seguito Zombie firma i due remake dell’Halloween di John Carpenter: funziona meglio il secondo in cui si sentono meno le imposizioni della major e il regista-cantante è libero di lavorare in più libertà, riuscendo a consegnare un lavoro onirico e allucinante, diverso dal semplice ‘omaggio a Carpenter’ che era stato il primo episodio, comunque efficace. Malcolm McDowell, presente in entrambi film nei panni del dr. Loomis, offre una delle sue più grandi interpretazioni, tra follia e razionalità, come ci aveva abituati ai tempi di Arancia Meccanica, film tra i più idolatrati di Zombie (a cui dedicò anche un video.

A fine aprile è prevista l’uscita nel nostro paese de Le streghe di Salem, nuovo film del regista, in cui Zombie sembra tornare alle atmosfere dei suoi primi film. Dopo la positiva accoglienza al festival di Torino, siamo curiosi di vedere il regista metallaro tornare in azione. Sperando di poter sentire in sala ancora una volta quel batticuore e quell’adrenalina che solo l’horror puro sa dare.

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