Solo dio perdona: recensione film

DUE ANNI DOPO IL SUCCESSO DI DRIVE, REFN TORNA CON UN FILM PIU’ INTIMO E IPNOTICO DEI PRECEDENTI

GENERE: drammatico, thriller

USCITA IN SALA: 30 maggio 2013

Bangkok. Julian (Ryan Gosling) gestisce un boxing club thailandese, per coprire il traffico di droga portato avanti da lui e suo fratello, Billy (Tom Burke). E’ Billy il più spregiudicato e tracotante tra i due fratelli, e lo dimostra una sera, quando preso dal suo desiderio demoniaco, uccide una prostituta sedicenne. A seguito di tale estremo gesto, il padre della ragazza, investito della carica di giustiziere, dal poliziotto Chang (Vithaya Pansringarm), lo uccide a sua volta.

Ecco allora che sopraggiunge il boss della loro associazione criminale, la madre (Kristin Scott-Thomas), crudele e spietata come pochi personaggi femminili al mondo. Vuole che Julian vendichi il fratello. Da quel momento una spirale di violenza inaudita e disumana, li travolgerà nei recessi dei bordelli di Bangkok.

Nicolas Winding Refn torna al cinema dopo l’universale capolavoro Drive che solo due anni fa gli aveva fatto guadagnare un successo popolare a lui sconosciuto. Sì perché Refn non è per tutti. Il danese, infatti, fin dal suo esordio con Pusher, ha mostrato interesse più per la messa in scena che per ciò che mette in scena. Con Drive riuscì però a fondere questi due elementi e fu riconosciuto, grazie soprattutto alla storia d’amore sottesa al racconto violento. Con Solo Dio Perdona, il discorso è più complicato.

L’empatia verso il protagonista non avviene facilmente; il pretesto che porta Julian a lasciarsi travolgere dal vortice della violenza è offuscato e debole come il suo stesso personaggio. Trattasi di un conflitto edipico vecchio come il mondo che porta il protagonista da un lato a obbedire morbosamente ai comandi di una madre assassina e narcotrafficante che pochi anni prima lo aveva fatto macchiare di uno dei peggiori crimini esistenti, il patricidio, e dall’altro a cercare di sottrarsi da questa violenza psicologica oltre che fisica, sapendo in fondo, che il fratello meritava di essere giustiziato.

Al centro di tutto questo c’è poi il vero personaggio principale del film, il poliziotto thailandese Chang, una sorta di Dio/angelo vendicatore che vuole fare pulizia del marcio esistente nella metropoli thailandese.

Ero in una fase difficile della mia vita, aspettavamo il secondo figlio e la gravidanza era complicata, avevo dentro una rabbia che non sapevo come canalizzare. In quei momenti, uno si rimette a dio. E’ qui che ho avuto l’idea di un personaggio che si elegge dio e della sua relazione con una madre divorante e suo figlio. Ho realizzato un film sulla nozione di spiritualità e misticismo”. Afferma lo stesso Refn in conferenza stampa a Cannes.

Quindi Julian ci ricorda più il personaggio di Turturro in Fear X, ossessionato dall’assassinio della moglie e colto da allucinazioni visive mortali, a tratti lynchiane. Ma Julian non è assolutamente interessato alla vendetta, non va alla ricerca di chi ha assassinato suo fratello per infondere giustizia, piuttosto lo fa, per liberarsi, una volta per tutte, dal dominio della madre.

Solo Dio Perdona è dunque un film intimo oltre che decisivo per la carriera stilistica di Refn. Tutto il suo cinema è racchiuso in questi 90 minuti di vendette e violenza: i colori saturi e contrastati, le riprese notturne, le inquadrature statiche, le luci neon, la colonna sonora portante, e i silenzi portati all’eccesso. Tutto è curato al minimo dettaglio. “Ogni inquadratura deve essere trattata come un capolavoro: quello che succede nello sfondo è importante”.

Nicolas Winding Refn ipnotizza ancora una volta il suo pubblico facendogli vivere un’esperienza cupa e seducente che non dimenticherà facilmente, insieme alle atmosfere claustrofobiche del film, le lente e lunghe carrellate e la persistente calma che precede l’esplodere della violenza. Solo Dio Perdona è un racconto metafisico che ricorda per il suo stile Lost Highways e Mullholland Drive di Lynch, anche se di Refn, oggi ce n’è uno solo. 

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