Locarno 66 – U ri Sunhi: recensione film (concorso internazionale)

L’INFATICABILE CINEASTA COREANO SANGSOO HONG CI RACCONTA L’ATTRAZIONE

Il cinema di Hong Sangsoo, prolifico cineasta coreano, sembra sempre sorreggersi sul caso. La sua narrazione, che procede poi attraverso serratissimi dialoghi e una camera che tende a inquadrare i protagonisti frontalmente quasi come se lo spettatore stesse assistendo a una sorta di interrogatorio, parte in ogni suo film da qualcosa di fortuito e anche nel suo ultimo lavoro U ri Sunhi (La nostra Sunhi) questa caratteristica del regista rimane forte nell’incipit della storia.

Sunhi è una studentessa di cinema che dall’università di Seul vorrebbe passare a quella americana. Per far sì che questo avvenga manda una lettera a un suo ex professore e ritrova casualmente anche una sua vecchia fiamma, ora regista, e il suo migliore amico. Tutti e tre gli uomini amano o hanno amato la giovane donna che si ritrova ipotente innanzi alla scelta.

Questa storia di attrazione, ma anche di repulsione, viene gestita dal regista come se fosse una danza: tutti i protagonisti si conoscono eppure ognuno di loro cambia atteggiamento a seconda di chi si trova di fronte dando così vita a una catena di omissioni, bugie e piccoli tradimenti.

Nella pellicola il regista ripete più volte le scene cambiando però i personaggi o scambiando i loro ruoli all’interno dell’azione: una quadriglia visiva che solo un cineasta con la classe di Sangsoo Hong pteva mettere in atto imprigionando con maestria i personaggi del suo lungometraggio in una gabbia, dove tutto cambia ma tutto torna in altre vesti, che ha come delimitazione gli stessi protagonisti di un quadrilatero sentimentale raccontato magistralmente.

 

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