Gianfranco Rosi: intervista sul road carpet di Sacro GRA

“HO CERCATO DI CATTURARE UN ATTIMO CHE POI È DURATO ANNI E ANNI DI FREQUENTAZIONE”

Il red carpet stava stretto a Gianfranco Rosi, era evidente, e così appena ha potuto ha presentato Sacro GRA proprio lì dove è stato girato: ai bordi del Grande Raccordo Anulare e, in particolare, sul balcone dell’anguillaro, uno dei protagonisti del suo documentario Leone (e leoncino) d’oro alla 70ma Mostra Internazionale del cinema di Venezia.

Rosi, come ha vissuto l’esperienza del Leone d’Oro?

È stata un’esperienza legata alla sorpresa. Mai avrei pensato di ricevere un premio così importante. Già essere in concorso è stato un premio. Dopo un percorso durato tre anni in cui ho cercato un’idea possibile per il film, ho iniziato a percorrere il GRA senza filmare quasi niente, alla ricerca di personaggi e storie.

Come ha trovato le storie raccontate nel documentario?  

Alcune me le ha suggerite Nicolò (Bassetti paesaggista e urbanista il primo che ha avuto l’idea di girare un film sul GRA n.d.r.). Altre le ho incontrate attraverso i luoghi e gli spazi. La storia del barelliere, invece, l’ho voluta io. L’idea iniziale del film era che non avesse trama, come a suggerire che non ci fosse futuro possibile per i personaggi. Ho cercato di catturare un attimo che poi è durato anni e anni di frequentazione. Ho frequentato a lungo un luogo, una situazione per poi coglierne l’essenza.

Tra quelle da lei porta sul grande schermo manca la storia di un giovane, come mai?

Quello che hanno in comune i personaggi è il loro legame con il passato. I giovani invece hanno un legame con il presente e il futuro.

Molte scene, rispetto a quante ne sono state girate, le ha dovute tagliare. È stata difficile la scelta?

È stata molto difficile perché il film è privo di trama. Volevo che emergesse la dimensione poetica dei personaggi in una forma che avesse comunque un senso. Il film nasce come sottrazione, il mio fine era di chiudere una porta e non aprire un portone sulla realtà. Un po’ come il cubo di Rubik che ha tante combinazioni ma solo una è quella giusta. Non ci sono stati personaggi tagliati o scartati, alcune storie dei personaggi però sì.

Qual è stato il contributo di Renato Nicolini a questo film?

Il film è dedicato a Renato Nicolini. Non essendo romano non conoscevo le sue Estati. L’ispirazione a Nicolò era proprio venuta dal saggio di Nicolini, Una macchina celibe. Appena l’ho letto ho contattato Renato, e la prima volta che ci siamo incontrati mi ha portato a fare un giro sul raccordo. Ho acceso la cinepresa e ho cominciato a filmare, e da lì è nato il documentario Tanti futuri possibili. All’inizio Nicolini doveva essere un personaggio del film, un architetto che vagava a piedi sul GRA, il fil rouge di questo spazio. Quando è scomparso, ho capito che dovevo far perdere al raccordo la sua spazialità facendolo diventare altro, un’astrazione. Una volta Nicolini mi disse: “Il raccordo è un cerchio che devi aprire e far sì che diventi una rete infinita”. E aveva ragione. Fellini invece diceva che il raccordo è un anello che circonda tutta la città di Roma. Oggi è diventato più simile a un anello di Saturno abitato da alieni.

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