Blockbusters memories: Se7en

SE7EN È L’INQUIETANTE  RONACA DI UN VIAGGIO SPIRITUALE CHE SCUOTE LE COSCIENZE UMANE

Il primo grande lavoro cinematografico del cineasta David Fincher è senza dubbio Se7en., pellicola nata dopo la turbolenta esperienza di Alien 3, precisamente nel 1995, e che è stata scritta dalla penna di Andrew Kevin Walker, già a suo agio nel genere thriller.

In una città grigia e piovosa priva di nome, dove violenza e delinquenza sono all’ordine del giorno, viene ritrovato il corpo esanime di un uomo obeso. Il detective Wiliam Somerset (Morgan Freeman) è incaricato di indagare sul caso, nonostante manchi solo una settimana al suo pensionamento. Per questo motivo viene affiancato dal giovane detective, David Mills (Brad Pitt), suo prossimo successore. Nonostante il lavoro in comune, fra i due non scorre buon sangue, mentre Somerset è generoso di consigli per il collega, l’irascibile ragazzo vede le sue parole come una minaccia o una sorta di scherno riguardo alla futuro grado. Questa sensazione provoca un forte attrito fra i due che continuano a essere in contrasto per i differenti metodi lavorativi. Solo la dolcissima Tracy (Gwyneth Paltrow), compagna di Mills, riesce a essere una figura stabilizzante per i due detective. Nel frattempo altri omicidi si susseguono e l’idea di Somerset è quella che siano fatti per mano un killer seriale, fanatico religioso, che trae ispirazione dai sette peccati capitali. Il più anziano agente dopo una serie di ricerche, e grazie alla sua strabiliante percezione investigativa, riesce a dare un nome e un volto a questa inquietante figura, John Doe (Kevin Spacey). I due poliziotti, increduli, onostante la cattura abbia ancora in serbo qualche altra sorpresa per i due poliziotti, che si trovano a essere come burattini nelle mani dell’assassino.

Come da sua natura Fincher si concentra ancora una volta sul disagio sociale postmoderno e lo fa attraverso una città fittizia denunciandone la scarsa moralità. Si respira immoralità e mancanza di assistenza da parte del prossimo, non è a casuale la frase del personaggio interpretato da Freeman:”Oramai nelle metropoli farsi gli affari propri è diventato una scienza. Nella prevenzione allo stupro la prima lezione è – Mai gridare aiuto ma sempre al fuoco-. Nessuno risponde a una richiesta di aiuto. Tu urla al fuoco e arrivano di corsa“.

Lo stesso personaggio rappresentato da Pitt è l’emblema di una società deviata, la simbolizzazione della giovane inesperienza fuori dagli schemi, iracondo e sempre pronto a sparare prima di fare domande. Mentre Somerset è la pazienza fatta persona, una miscela di saggezza e riflessività che innalzano il suo ruolo un gradino sopra gli altri, Tracy è chiaramente la purezza e l’innocenza, che in quanto tale, paga ingiustamente dazio a questo folle mondo.

Questa è la triste cronaca vista dagli occhi dei protagonisti, che sono accompagnati lungo tutto il cammino spirituale dalle oppressive musiche di Howard Shore e da una fotografia votata in toto al nero.

Sembrerebbe quindi, almeno all’apparenza, un classico thriller poliziesco formato da una coppia di detective che indagano su una serie di omicidi ma il finale sconvolgente e la filosofia della pellicola stravolgono completamente le carte del genere.

Come tanti altri criminali apparsi sul grande schermo anche la figura di John Doe è carica di significato: la realizzazione che il presunto carnefice sia in realtà vittima e figlio di una società perversa rende affascinante l’idea del film e sconvolge completamente lo spettatore. Queste svariate chiavi di lettura unite alla capacità di saper far riflettere portano di diritto Se7en nel pantheon dei Cult.

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