Alabama Monroe: recensione film

ALABAMA MONROE È LA MELODIA ALLEGRA DI UNA STORIA CHE OFFUSCA GLI OCCHI E BAGNA GLI ZIGOMI SUONANDO LE NOTE ACUSTICHE DI UN AMORE STRAZIATO

alabama-monroe-locandinaGENERE: drammatico

DATA DI USCITA: 8 maggio

DURATA: 111’

VOTO: 4 su 5

Che il cerchio si chiuda / Addio, Signore, addio / C’è una casa migliore che sta aspettando / In cielo, Signore, in cielo. Quando il cerchio si chiude non rimane nulla, infatti. Quando il cerchio si rompe, invece, resta la polvere, spazzata via dal vento che cancella ogni traccia dell’essere, avvolgendo a se la vita, portandola lontano e facendola sbattere addosso a qualcosa che confonde e inganna. Queste sono le parole di Will the Circle Be Unbroken, canzone popolare cristiana, cantata dai più grandi artisti folk, country e bluegrass. Parole semplici e malinconiche, sussurrate su di una nenia che raschia le corde vocali e scende giù, nelle viscere, facendo eco all’amore dilaniato di chi ha perso la luce, cercando tra le stelle o nelle farfalle la forza per andare avanti, cantando e piangendo contemporaneamente, implorando un abbraccio e strillando contro il mondo.

Elise (Veerle Baetens) e Didier (Johan Heldenbergh) si conosco, s’innamorano, cantano insieme in un gruppo bluegrass e danno vita ad una splendida, bellissima bambina, Maybelle (Nell Cattrysse). Elise fa la tatuatrice, e il suo corpo è ricoperto da disegni che ne raccontano la storia; Didier invece ha un ranch e coltiva il sogno americano, fatto di musica e libertà. Loro tre, insieme, sono bellissimi ma, guarda caso, l’ineluttabilità del destino mette in discussione tutto, visto che la piccola Maybelle viene colpita da un tumore gravissimo.

Alabama Monroe, o nel titolo originale e sicuramente più evocativo The Broken Circle Breakdown, è diretto da Felix Van Groeningen ed è quello che di più vicino all’amore si potrebbe immaginare in relazione alla narrativa cinematografica, da sempre legata ai sentimenti disperati e tormentati. Le emozioni, in questo caso, sono rese ancor più accecanti da un dolore forte e completo che inizia a circolare nelle vene tradotte per immagini; tutto immerso in una cornice che è il Belgio ma che sembra l’America, in un mondo che ti spinge a non legarti a nulla, mosso da un movimento ellittico che gira attorno a quelle stelle che muoiono fino all’infinito.

Tre anime che formano così un cerchio, pazzi e innamorati, folli e veri, felici e belli da far schifo ma allo stesso tempo fragili e precari come un fuoco che arde minacciato da un temporale preannunciato dai fulmini arrabbiati di un Dio fin troppo silenzioso. Alabama Monroe è questo, l’asciutto racconto di ciò che succede quando le fiamme sono ormai cenere, dell’acustica ruggente di un musica allegra che suona nient’altro che lacrime, sui tocchi degli interpreti perfetti di una tormentata e distruttiva melodia. La pellicola, così, offusca gli occhi e bagna gli zigomi, mostrando solo quello che andrebbe mostrato, senza mai provare ad aggiustare con la commiserazione un cerchio ormai rotto e, alla fine, urlando che sì, di amore si può morire davvero.

 

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