Ti sposo ma non troppo: intervista al regista Gabriele Pignotta

“LA DISTINZIONE TRA CINEMA E TEATRO È UNA CONCEZIONE TUTTA ITALIANA”

Il grande successo al botteghino della commedia teatrale Ti sposo ma non troppo è stato il trampolino di lancio per lo sceneggiatore, attore e regista Gabriele Pignotta che esordisce, proprio con il testo da lui scritto per il palcoscenico, sul grande schermo:

Perché questa commedia parla d’amore?

Ho realizzato le prime due commedie per il teatro schivando in tutti i modi la parola amore, temevo fosse una trappola. Gli spettatori che hanno iniziato a seguirci ci chiedevano perché no. In realtà amo la commedia sentimentale, Notting Hill, Quattro matrimoni e un funerale, Love Actually. In secondo luogo ho deciso di realizzarla perché racchiude stati d’animo che ho vissuto, una storia d’amore che si chiude e una che comincia.

Perché hai scelto proprio questa commedia, tra le altre, per l’esordio cinematografico?

Mi sono affidato a Marco Belardi (produttore) che ha il fiuto del mercato e tiene il polso dei desideri del pubblico. Credo abbia voluto farmi esordire con una storia semplice, non pretenziosa o pretestuosa. Che facesse divertire in modo pulito.

C’è un abisso tra la regia teatrale e quella cinematografica, quale le ha concesso di esprimersi meglio e quale preferisce?

Non vivo queste differenze tra cinema e teatro, è una distinzione tutta italiana. Sarà che ho sempre voluto fare film così anche a teatro ho portato questa mia propensione facendo nascere una sorta di genere che qualcuno definisce teatro cinematografico. Ogni mio spettacolo a teatro l’ho creato pensando a 18 location, alle dissolvenze e alla colonna sonora, tanto che in tanti si sono chiesti all’inizio: ma questo che fa? Dal teatro ho appreso la gestione degli attori, la tecnica di cui manco al cinema, è stata compensata da un direttore della fotografia eccezionale, Francesco Di Giacomo e da tutti gli altri collaboratori tecnici. Il teatro per me resta fondamentale è come una gamba di cui non posso fare a meno. Mi piace mantenere un rapporto diretto con il pubblico, è un vero scambio, e poi le tournée mi ricordano le gite scolastiche dell’infanzia.

Come è riuscito ad arrivare al grande schermo?

Sono un autodidatta. La cosa che mi aiutato più di ogni altra è stata la determinazione, il desiderio di fare film è quello che mi ha sempre animato. È come se avessi corteggiato una bella donna per tanti anni, e ora inizia a concedermi le prime uscite.

Questo è un film denso di richiami al cinema di Woody Allen, in particolare a Tutti dicono I Love You, dato che lei è un appassionato di commedia sentimentale britannica e americana, in fase di scrittura qualcosa rimane di quelle visioni?

I film che ti piacciono ti si cuciono addosso. C’è un fottuto essere teatrale in Allen (come direbbe lui), lui fa del dialogo la sua forza e poi come non può esserci riferimento al regista quando si parla di nevrosi…

Ha co-sceneggiato anche Sotto una buona stella di Verdone. In quel film i ragazzi scappano dall’Italia, in Ti sposo ma non troppo invece c’è una grande speranza per il futuro del nostro Paese, la sceneggiatura di Verdone è dipesa da una sua scelta o da decisioni più forti?

Ovviamente quando si scrive per autori come Carlo inevitabilmente ci si adopera per mettere su carta le loro visioni. Lui ha due figli dell’età di quelli del suo film, e conosce molto bene la problematica perché vive l’impaccio di non riuscire a dare loro una soluzione lavorativa all’interno dei confini nazionali.

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