Blockbusters Memories: Shining

SHINING È UN COCKTAIL CONCETTUALE E SIMBOLISTICO REVISIONATO DALLA GENIALE MENTE DI STANLEY KUBRICK

Più andiamo avanti con la nostra rubrica e più scopriamo che il cinema hollywoodiano, nella maggior parte dei casi, ha sempre preso ispirazioni dalla letteratura creando così pellicole invidiabili nel mondo. D’altra parte per un regista è complicato tener fede alle pagine di un libro perché se da un lato ci sono lettori appassionati pronti a giudicare ogni scena, dall’altro bisogna sempre accontentare lo spettatore che vuole una buona esperienza cinematografica e così facendo la qualità del prodotto finale non è sempre eccezionale. Alle volte però le competenze di un regista e di uno scrittore convergono verso la fama, portando entrambi alle stelle.

Il chiaro esempio di questa introduzione è stato il romanzo di Shining, scritto da un giovane Stephen King nel 1977 e plasmato a soli tre anni di distanza dal cineasta Stanley Kubrick.

Jack Torrance (Jack Nicholson) ex alcolista e romanziere in piena crisi di ispirazione, porta sua moglie Wendy (Shelley Duvall) e suo figlio Danny (Danny Lloyd) all’Overlook Hotel dove ha trovato lavoro come guardiano invernale dell’albergo. Nel giro di qualche settimana, cose strane iniziano ad accadere ai membri della famiglia, colpendo in modo particolare Torrence.

L’aneddotica utilizzata da Kubrick per questa pellicola segue coerentemente il lavoro fatto con altri film quali 2001: Odissea nello spazio (1968) o Arancia Meccanica (1971). Il regista, grazie a questo metodo personale, è stato in grado di creare un thriller parapsicologico dalle classiche tinte horror portando l’Opera a essere elevata, per molti, ai piani alti fra i film del genere.

Stephen King definì a suo tempo il romanzo come “una storiella sul blocco dello scrittore” ma la rielaborazione del regista, con l’aiuto della sceneggiatrice Diane Johnson, ha portato questo capolavoro su altri binari. Complice di questa mutazione è l’enfatizzazione della mancanza di comunicazione e dell’isolamento umano, sensazioni in costante percezione durante tutto l’arco narrativo. A tutto viene saggiamente aggiunto un simbolismo evidente che si capta lungo il lento districarsi  della trama: dal mito di Saturno, divoratore dei propri figli a quello di Teseo e il Minotauro nel suo labirinto, fino al complesso rapporto padre-figlio che ci rammenta il mito di Edipo, questa pellicola ci culla, come in una favola, dentro un mondo psicotico e cruento.

Ovviamente il merito di questo lungometraggio, che nel corso degli anni si è affermato come Cult indiscusso, non è stato tutto di Kubrick. Dietro la cinepresa un grande Genio, ma davanti un giovane talento consacrato come quello dell’animalesco Jack Nicholson, interprete di un personaggio chiave quale quello di Jack Torrance, il quale ci ricorda che le radici del male sono nell’uomo, vero animale sociale e dominatore del mondo e della sua natura. Unica vera vittima e barlume di speranza in questo pessimismo totalitario sembra essere la figura innocente del piccolo Danny e del suo shining (luccicanza).

Come affermato inizialmente, King ebbe una crescita professionale devastante, nonostante il film non gli fosse personalmente piaciuto. Di fatto, come tutti i grandi Cult, Shining si spoglia del suo status di adattamento letterario per rivestire quello di grande classico cinematografico Made in Kubrick.

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