La buca: recensione film

LA BUCA, UNA FIABA FUORI DAL TEMPO E DALLO SPAZIO, UN RACCONTO SURREALE E GROTTESCO CHE PARLA DI ILLEGALITÀ E CORRUZIONE MA FA ANCHE MOLTO SORRIDERE

la-buca-locandina-ufficiale-del-nuovo-film-di-daniele-cipri-1GENERE: commedia

DURATA: 90′

USCITA IN SALA: 25 settembre 2014

VOTO: 3 su 5

Rocco Papaleo e Sergio Castellitto sono per la prima volta insieme sul grande schermo, protagonisti dell’ultimo lavoro di Daniele Ciprì La buca. Il regista, rispetto ai suoi precedenti, cambia totalmente registro, approdando alla commedia. Decide, infatti, di raccontare comicamente una tragedia, una storia di illegalità e mala giustizia, ma lo fa in modo surreale, scegliendo la via dell’immaginario.

Oscar è un burbero avvocato che cerca continuamente profitto con piccole truffe, e che non si fa scappare l’opportunità di sfruttare l’incontro con Armando e il suo cane per riuscire a guadagnare qualcosa. Quando viene a conoscenza che Armando ha scontato 27 anni di carcere per un reato mai commesso, intuisce di avere maggiori possibilità nell’aiutarlo a intentare una causa milionaria di risarcimento ai danni dello Stato.

Le immagini entrano in perfetta complicità con la musica, magistralmente ispirata a Gershwin grazie al lavoro di Pino Donaggio e aiutano a creare un senso di astrazione fortemente desiderato dal regista. Tutto, infatti, si pone fuori dal tempo e dallo spazio: non è ben chiaro fin dall’inizio in che epoca ci troviamo né in che città (o addirittura nazione). Armando esce dal carcere per trovarsi catapultato in un luogo ai confini della realtà. La modernità dei grandi palazzoni di periferia contrasta visibilmente con la via Della Buca (ricostruita a Cinecittà), le cui strade sono attraversate da autobus e macchine d’epoca. Si percepisce un gusto per il vintage, per “il vecchio”, per il passato, e lo ammette anche il regista quando confida di aver fatto il suo film “in vinile” ed essersi rifiutato di girare in digitale, prediligendo la pellicola.

Ciprì non è soddisfatto della nostra realtà, e decide così di attingere dal suo immaginario, creando una storia che ha del fiabesco e del fantastico (fin dai titoli di testa la storia è disegnata). Anche i personaggi risultano essere buffi. Armando ha subito un’ingiustizia, ma nonostante ciò non prova rancore né senso di vendetta. Oscar è invece il truffaldino, il personaggio negativo che cerca di dare una dignità filosofica al proprio operato illegale. Papaleo e Castellitto si intendono alla perfezione. Soprattutto quest’ultimo si trova a cambiare genere dopo anni, ma il risultato è magistrale e la sua recitazione “velocizzata” fino ai limiti eccezionale.

Un divertente gioco di evocazioni e riferimenti ai grandi del cinema attraversa il film, fino a diventare puro citazionismo in una delle scene più surreali della pellicola, ambientata in una camera oscura: all’improvviso un lampo, il passaggio al bianco e nero e un cervello in barattolo, e subito ci troviamo in Frankenstein Junior di Mel Brooks.

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