Roma Film Fest 2014 – Time out of mind: recensione film (Cinema d’Oggi)

TIME OUT OF MIND, RICHARD GERE NEI PANNI DI UN SENZATETTO

time out of mind richard gereVOTO: 3 su 5

A volte capita che la vita distrugga tutti i nostri desideri. Quando vedi intorno a te il mondo che hai creato precipitare tutto insieme, hai due tipi di scelte: fare qualcosa per arrestare il declino o decidere di lasciarti andare e affondare con esso. Dipende dalle personalità, dipende dall’esperienza, dipende da chi pensiamo di essere. Ci sono volte in cui il destino incide profondamente sulla nostra esistenza e non sempre siamo in grado di affrontare con cognizione di causa e per tempo gli eventi. Quando pensiamo che nulla in nostro potere può essere fatto per salvare quel che resta, allora è li che finisce la vita e diventiamo anime vuote che vagano nel cammino buio dell’inferno e solo li si sentono al sicuro, lontani da tutto protetti da sé stessi.

Questo è quel che succede a George (Richard Gere), un uomo disperato senza niente al mondo che vive nei sobborghi di una New York City spesso troppo grande per sentirsene parte, senza una casa nè un lavoro e nemmeno una persona amica. L’unica che gli è rimasta in vita è la figlia, alla quale però deve rispondere per la mancanza della sua paternità da ormai 10 anni. Time out of mind di Oren Moverman rappresenta lo scandire delle giornate di un uomo emarginato, la vita si è dimenticata di lui perché lui lo ha permesso e nel momento in cui tenta di prendersi le sue responsabilità tutti gli voltano le spalle.

E’ un racconto di alienazione fatto di lunghi silenzi ma anche troppe parole inutili, sono proprio quelle decisive che George non riesce a pronunciare. I lunghi primi piani su di lui e le passeggiate in solitaria nella Grande Mela – le cui strade portano lo spettatore in un viaggio alla ricerca di posti dove passare la notte, tra ospedali, centri di accoglienza e luoghi di ritrovo per senzatetto – non fanno che compatire un uomo che ha bisogno di perdono senza riuscire prima di tutto a perdonarsi lui stesso. Quello che abbiamo di fronte è un Richard Gere insolito, introverso e invecchiato, in un ruolo dove a emozionare non è il sorriso da rubacuori ma le lacrime da fallimento.

Oren Moverman, oltre che regista anche sceneggiatore di Time out of mind, ci ha regalato un film che silenziosamente si insinua nelle nostre vite e nella nostra mente, che non può che chiedersi cosa abbia portato il corso degli eventi a far dormire per strada quelle persone senza un nome che quasi tutti i giorni incrociamo per la nostra via.

 

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