Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate: recensione film

PETER JACKSON CONLCUDE IL SUO LUNGHISSIMO VIAGGIO CON UN DUELLO ALL’ULTIMA SPADA

locandina hobbit3GENERE: fantasy

DURATA FILM: 144 minuti

USCITA IN SALA: 18 dicembre 2014

VOTO: 3 su 5

C’è una sottile linea rossa che collega il fantasy alla vita reale. Un linea rosso fuoco che collega una terra di mezzo, un anello del potere e l’occhio di Sauron. Peter Jackson ha deciso di seguirla nella lunga via che porta ad un viaggio inaspettato, quel percorso che coinvolge Bilbo Baggins (Martin Freeman) e ne segna la sua vita nel capitolo conclusivo di questa seconda saga tolkeniana: Lo Hobbit: la battaglia delle cinque armate.

Il (nuovo) re Sotto la Montagna, ovvero Thorin Scudodiquercia intento a combattere i suoi demoni interiori, si innalza di fronte al terreno di battaglia in cui nani, elfi e umani si uniscono per combattere le armate del male, l’incombente minaccia dell’oscurità. Un prequel di oltre cento anni rispetto a Il signore degli anelli che ci catapulta alle origini dell’universo JRR Tolkien, con una sorta di occhio onniscente che salta di personaggio in personaggio lungo la storia.

Jackson prosegue la storia senza sbalzi, continuando il filo narrativo dal volo libero e vendicativo del drago Smaug, salvo poi spostarsi immediatamente sui protagonisti della trilogia “originale”, ovvero Gandalf (Ian McKellen) lo stregone grigio, Galadriel (Cate Blanchett) regina degli elfi d’occidente, lo stregone bianco Saruman (Christopher Lee) e il mezz’elfo Elrond, signore di Gran Burrone (Hugo Weaving), impegnati in una battaglia parallela contro le ombre di Sauron.

Sempre rimanendo lontani dai fasti de La compagnia dell’anello, qui ritroviamo quella sagacia tecnica unita ad una giusta dose di azione fusi assieme che sono un po’ mancati nei primi due capitoli recenti. Ma la convinzione non basta quando il CGI sostituisce l’anima, lo scontro fisico barattato per effetto grafico, il romanticismo confuso con sentimenti a buon mercato. Alla fine dei conti il ridondante stanca e, seppur avvincendo a tratti, il film non riesce ad incuriosire abbastanza da collegarsi con incisività alle (prossime) avventure di Frodo Baggins.

Da zio a nipote il passaggio non è così immediato.

 

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