Zero Bagget: il film di Michele Coppini


IL LUNGOMETRAGGIO GIRATO INTERAMENTE CON UNO SMARTPHONE

zero bagget3Privo di mezzi, privo di denaro, ma con un’idea. E’ questo il punto di partenza per il curioso esperimento del regista toscano Michele Coppini, montatore e operatore video “precario”, cinefilo doc. Una passione smodata per il cinema, che non riesce, quindi, a “pagargli il pane”, come si suol dire. O meglio, non abbastanza per girare i suoi progetti. Interrogato sul perché abbia iniziato a dirigere il film, il regista spiega di essersi trovato a casa, un giorno, cercando un modo per finanziare la sua serie La teoria dei birilli e, quindi, sentendosi in piena “crisi d’astinenza da set”, privo dei mezzi necessari per tornare a lavoro.

Ma la voglia, quella non manca, ed è qui che nasce l’intuizione, perché prendere il proprio Samsung S5, per girare un film indipendente, non costa davvero nulla. Prima che molti puristi possano gridare allo scandalo, chiariamo che l’impostazione di base è comunque quella del documentario, il quale, pur non mancando di una precisa tecnica registica, sicuramente non può dirsi un genere che, di base, necessita di particolari virtuosismi.

Non si tratta, infatti, di una mera operazione tecnica, poiché Zero Bagget indaga anche sulla situazione del cinema italiano, partendo da quella Cinecittà una volta affascinante centro dell’industria nazionale, e non solo, oggi sull’orlo perenne della chiusura dei propri battenti. E lo fa attraverso interviste a giornalisti, scrittori e tecnici, del campo e non, tra cui l’amichevole partecipazione di Paolo Ruffini, con quel giusto misto di ironia e serenità che rende piacevoli i diversi colloqui.

In un aneddoto, per esempio, Coppini racconta di essere stato ospite della trasmissione Casa Carlotta su Lady Radio, per promuovere sì la pellicola, ma, contemporaneamente, cogliendo l’occasione per inglobare l’incontro all’interno della stessa, girando così l’intero evento. Va fatto presente, appunto, che non sempre gli “attori” sono consapevoli delle riprese attuate dal regista, che, ricordiamo, fa della vita reale di tutti i giorni la protagonista principale della sua opera.

In 75 minuti, il filmaker, già autore di Mani molto pulite e Benvenuti in amore (sempre con budget ridotti), indaga sulla precarietà lavorativa e sul futuro del nostro cinema, indipendente e non, afflitto dall’impossibilità realizzativa di tante buone idee, che contrasta con la voglia e l’ambizione dei molti cineasti in erba. Ancora senza una data precisa, il film sarà comunque distribuito in homevideo.

Ai nostri tempi, dove le sale italiane sono dominate o da blockbuster americani o da commedie, rischiando oltremodo l’eccessiva conformità dell’offerta da parte dei produttori cinematografici, operazioni simili non possono che essere lodate. Se poi si coglie l’occasione per ribadire quanto ci sia bisogno di un intervento fresco e massiccio da parte delle nuove generazioni, in termini di originalità e intraprendenza, affinché si riesca a rinvigorire il panorama nazionale, non resta che annuire soddisfatti.

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