Straight Outta Compton: recensione film

AL CINEMA LA STORICA ASCESA DEGLI N.W.A. E DEL “GANGSTA RAP”

Straight_Outta_Compton_posterGENERE: biografico

DURATA: 147 minuti

USCITA IN SALA: 1 Ottobre 2015

VOTO: 4 su 5

Nel 1988 debuttava con l’album Straight Outta Compton il gruppo “hip hop” N.W.A., che ha deciso la nascita di un certo tipo di sound, rivoluzionato il panorama musicale mondiale e segnato un’intera generazione. Il film omonimo, fenomeno estivo del box-office americano, scritto da Jonathan Herman e Andrea Berloff e diretto da F. Gary Gray ha guadagnato 193 milioni di dollari, costandone 28. Distribuito in Italia dalla Universal Pictures, vede oggi finalmente il suo debutto nelle nostre sale.

La trama prende il suo via dall’anno 1986, ovviamente a Compton, città-ghetto della Contea di Los Angeles, dove Eric “Eazy-E”, spacciatore che ha intenzione di uscire dal giro, viene avvicinato dall’amico Andre “Dr. Dre”, dj dallo straordinario talento, con la proposta di mettere su una loro etichetta discografica, la Ruthless, mediante il suo aiuto finanziario. E’ solo l’inizio della formazione, all’inizio quasi casuale, del gruppo N.W.A. (Niggaz With Attitude), che si avvale poi dei testi estremi composti dal rimatore O’Shea “Ice Cube”. Conquistando subito una certa fama locale, il gruppo spicca definitivamente il volo grazie all’incontro con Jerry, manager deciso a prenderli sotto la propria ala, decisivo nel successivo salto di qualità a livello nazionale. Ma con la gloria arrivano i primi problemi e i tre ex-“ragazzi del ghetto” devono barcamenarsi tra guai giudiziari, dettati dalla loro denuncia agli abusi della polizia, e le sospette manovre dello stesso Jerry sul versante economico.

Il cast può contare sul figlio del vero “Ice Cube” O’ Shea Jackson, ovviamente nella parte del padre. A interpretare gli altri due principali fondatori del gruppo gli attori, al loro primo ruolo così rilevante, Corey Hawins (Andre), che vedremo nella prossima stagione di The Walking Dead, e Jason Mitchell (Eric), la cui prova è stata osannata dalla critica. Jerry è Paul Giamatti, nome che, specialmente negli ultimi anni, è ormai più che una certezza. Gli stessi “Ice Cube”, “Dr. Dre” e la vedova di “Eazy-E”, Tomica Woods-Wright, figurano tra i produttori della pellicola dedicata alla memoria dello stesso compagno, scomparso nel 1995 per aver contratto il virus HIV.

Straight Outta Compton, per quanto estremo sulla carta, è strutturato come il più classico dei biopic musicali. Aspetto che rappresenta l’unico vero punto debole del film, risultando fin troppo fedele ai canoni del genere, tanto che sembra di vedere il Ray (Charles) di Taylor Hackford in tutta la seconda parte dominata dalla paranoia e dalle divisioni interne dettate dalle dispute sui guadagni economici. Stesso discorso per la sezione iniziale, che racconta di ragazzi che prendono forza da un ambiente sociale difficile per costruire il proprio talento e, grazie ad esso, trovare il successo e insieme il modo di fuggire via dalla limitata realtà di “quartiere”. Se intanto convince la caratterizzazione “reale” del trio protagonista, con una distribuzione di minutaggio e conseguente sviluppo ben gestiti per ciascuno, sempre grazie, o a causa, dell’opera dei veri artisti in produzione, risulta fin troppo impietosa e stereotipata la scrittura dei “villain” Jerry o, sulle retrovie, Suge Knight.

Ciò che però risulta interessante è che, proprio trattandosi di un “classico” biopic, siamo probabilmente di fronte ad uno tra i primi del genere che inquadra il periodo a cavallo degli anni ‘80-’90, dandogli di conseguenza un valore “storico”, aspetto ancor più suggestivo se si pensa all’argomento di fondo trattato, ovvero dello scontro tra la comunità del “ghetto” e il pregiudizio delle forze dell’ordine, testimoniato perennemente dalla cronaca sul noto pestaggio a Rodney King perennemente sullo sfondo. L’odio razziale, vedi i recenti 12 anni schiavo o Lincoln, è stato sì un argomento spesso sviscerato dall’industria cinematografica statunitense, ma sempre da un’ottica piuttosto “lontana” e quindi filtrata dal peso dei numerosi anni di distanza. Uno spunto che rende l’operazione-Straight Outta Compton  tra le più importanti e significative che l’Hollywood, ancora scossa dal discorso di Viola Davis agli Emmy, è riuscita a mettere in atto negli ultimi anni.

Dove la pellicola vince su tutta la linea, comunque, è nella forza e nella potenza della messa in scena, nel quale il magnifico montaggio sonoro gioca un ruolo cruciale nell’esperienza spettatoriale. Non che la regia sia da meno, mediante piani sequenza e virtuosistici movimenti di macchina che alzano enormemente l’asticella del livello qualitativo. Il regista F. Gary Gray ha d’altronde lavorato in passato con gli stessi “Ice Cube” e “Dr. Dre”, sui rispettivi set di Friday Set It Off  e in svariati video musicali, ed evidentemente conosce bene il modo di esaltare il valore artistico della musica degli ex-N.W.A. La sequenza del concerto a Detroit che vede l’esecuzione caricata della discussa “Fuck tha Police”, la quale vale da sola il prezzo del biglietto, rende al meglio la sintesi dell’unione tra il magistrale lavoro tecnico e la portata dell’impatto sonoro. Riflessione equivalente per la resa della storia stessa, che tratta della diatriba con l’FBI e le forze dell’ordine, dove però non si avverte un’estrema esaltazione dello stile di vita dei protagonisti, quanto la volontà di mostrare al meglio un preciso spaccato sociale, dal punto di vista di chi l’ha vissuto (e subito) davvero. Tutti elementi che entusiasmeranno tanto gli appassionati del cosiddetto “gangsta rap” quanto coloro che magari hanno sempre guardato il genere con sufficienza e pregiudizio, spesso giudicandolo frettolosamente come sound di serie B.

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