Ville-Marie: recensione film

LA DRAMMATICITÀ SENZA SPESSORE DEL FILM DI ÉDOIN AL FESTIVAL DI ROMA

ville-marie-posterGENERE: drammatico
DURATA: 101 minuti
USCITA IN SALA: N/D
VOTO: 2 su 5

Il canadese Guy Édoin porta alla Festa del Cinema di Roma la sua seconda pellicola, Ville-Marie, titolo preso dal nome del quartiere della città di Montreal dove il film è ambientato. Le strade di questo distretto diventano il luogo dove si incontrano le vite di una famosa attrice, suo figlio, un’infermiera e un ambulanziere. Questi quattro personaggi si legano l’uno all’altra per una sorta di effetto domino dove, tra figli senza padri, madri senza coraggio e uomini senza certezze, il cadere continuo delle tessere va di pari passo con la discesa inarrestabile della pellicola, gravata da una trama dall’eccessiva drammaticità e da una progressiva perdita di senso. Un intreccio di destini come tanti se ne sono visti nella storia del cinema, ma un intreccio che, stavolta, lascia dietro di sé molti punti in sospeso e pochi elementi positivi.

Guy Édoin tenta, senza riuscirci, di narrare con incisività la solitudine senza speranza dei suoi protagonisti finendo, però, con il lasciare solo lo spettatore stesso. Di fronte alla modalità con la quale il regista affronta la sua opera, la sensazione finale è quella di aver assistito a un’esposizione libera e senza una precisa direzione, sulla quale Édoin non riesce a esercitare alcun tipo di controllo. La trama si accartoccia su sé stessa, rivelando nella sceneggiatura molti punti deboli e molte banalità che non possono far altro che affossare ancor più l’opera.

La scelta di utilizzare come attrice principale Monica Bellucci, poi, non è servita a dare a Ville-Marie quell’aura di divismo che magari poteva agevolare un’accoglienza positiva. La Bellucci fa dei segni fisici dell’età che avanza – che non riescono in alcun modo a scalfirne la bellezza – gli strumenti con i quali comunicare il proprio dolore di madre, ma vacilla nell’imprimere al suo personaggio un animo verosimile che vada oltre quello di un’interpretazione impostata e a tratti annoiata. Anche l’escamotage meta-cinematografico finisce con l’appesantire il tutto: il film nel film, dove recita il personaggio interpretato dalla Bellucci, vorrebbe essere la messinscena dei veri sentimenti che la donna nutre verso il figlio (con il quale ha un rapporto complicato), ma la sua dimensione melodrammatica e quasi parodistica di un certo tipo di cinema estremizza ulteriormente la drammaticità della pellicola, già di per sé eccessiva.

Molti hanno visto nel film di Édoin una strutta che accenna a Crash di Paul Haggis, ma nell’opera del regista canadese manca un seguito alle trame contenute in esso e solamente accennate, rimanendo un tentativo mal riuscito di estrarre, dall’intreccio di quattro esistenze, materiale narrativo sufficiente a reggere un’intera opera filmica.

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