Colonia: recensione

EMMA WATSON E DANIEL BRÜHL RINCHIUSI NELLA COLONIA DEL TERRORE

Colonia-2016GENERE: storico, drammatico

DURATA: 110 minuti

USCITA IN SALA: 26 Maggio 2016

VOTO: 2,5 su 5

Basato su fatti realmente accaduti, Colonia racconta la storia di Lena e Daniel, una giovane coppia che rimane implicata nel colpo di stato militare avvenuto in Cile nel 1973. Quando Daniel viene rapito dalla polizia segreta di Pinochet, appena instauratosi, Lena segue i passi fino a un’area inespugnabile che si trova nel Sud del paese, chiamata Colonia Dignidad. La Colonia, apparentemente, è una missione guidata da un predicatore laico di nome Paul Schafer ma, in realtà, è un luogo dal quale nessuno è mai riuscito a fuggire. Lena deciderà di entrare a far parte di questa setta allo scopo di ritrovare Daniel.

Emma Watson è Lena, attrice ormai più affermata e internazioalee del fu cast “giovane” della lunga e celebre saga di Harry Potter, che pur essendo partita bene con Bling Ring e Noi Siamo Infinito, viene dai flop Regression e Noah. Ambasciatrice dell’Onu e impegnata politicamente per i diritti delle donne nel mondo, ha dichiaratamente abbracciato il progetto per il valore storico che si porta dietro, umano e politico. Accanto a lei Daniel Brühl, ad interpretare il personaggio omonimo, fresco di Captain America: Civil War, anche lui europeo alla ribalta internazionale, di certo non nuovo a temi tanto forti affrontati nella sua carriera. Michal Nyqvist è invece il fanatico Paul Schafer, attore svedese reso famosa dalla trilogia Millenium, talmente voluto dalla produzione che le riprese son fatte partire dopo per essere in linea con i suoi impegni. Interpreta un ruolo sicuramente difficile, a cui riesce a dare il giusto carisma, pur in bilico continuamente sul filo del caricaturale.

Il regista è il tedesco Florian Gallenbergh, al suo quarto lungometraggio, alla sua prima prova con un cast mediaticamente tanto importante, il quale. Il filmaker racconta che, mentre stava curando la post-produzione di John Rabe, ha letto il libro autobiografico di un ex “Colono” e solo poche settimane dopo lo sceneggiatore Torsten Wenzel gli ha proposto il progetto. Una coincidenza a cui non si è potuto tirare indietro. Tedesca è anche la produzione, mentre la maggior parte delle riprese si sono svolte in Lussemburgo, dove è stata ricostruita perfettamente una copia della Colonia, come ha dichiarato Emma Watson che aveva visitato l’originale proprio qualche tempo prima di vederla.

Colonia quindi parte con buonissime intenzioni, ma fallisce su due aspetti importanti, che inficiano pesantemente sull’effettiva riuscita del prodotto. Innanzitutto sul piano narrativo, lo sceneggiatore Wenzel è al suo debutto cinematografico e si vede. I passaggi chiave della trama appaiono fin troppo deboli e più che forzati, fin dall’inizio (vedi l’escamotage usato per farli catturare), che diventano nel finale anche poco credibili, tanto da uccidere inverosimilmente la suspence che invece meriterebbe. L’ultima sequenza, per esempio, scimmiotta palesemente quella dell’Argo di Ben Affleck (ispirazione confermata dallo stesso produttore Benjamin Hermann) ma manca di quei meccanismi necessari di verosimiglianza che aiutano la fruizione dello spettatore.

Ma soprattutto, fallisce sul piano dell’introspezione psicologica. Fin dal principio, ci si deve sforzare per farsi andar bene vedere un’inglese e un tedesco abbracciare la causa di una terra così lontana. Sorvolando su questo e una volta ammesso che si tratta semplicemente del più tipico caso di “posto sbagliato al momento sbagliato” e quindi considerando i protagonisti vittime della casualità degli eventi, scarseggiano ora le motivazioni ora le conseguenze sulla loro psiche che simili orrori dovrebbero provocare. Stesso discorso che vale per tutto il micro-cosmo della Colonia. Colonia vuole essere crudo, mostra chiaramente le atrocità del lugubre posto, aspirando quasi a ricordare quel controverso 120 giornate di Sodoma di Pasolini, ma non riesce ad rendere “vera” una messa in scena che si mostra per quel che è, rimanendo quindi sulla superficie. Nel 2011 Kevin Smith con Red State, per esempio, rappresentava il lato più oscuro del fanatismo religioso, in chiave occidentale ovviamente, e i suoi terribili effetti sui fedeli e su una ristretta comunità in maniera decisamente più incisiva e cattiva. E considerando che parliamo del regista di Clerks, conosciuto a tutti quindi più per il suo lato comico che drammatico, forse bisogna farsi due conti.

 

 

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