Wonder Woman: recensione

RIUSCITO CINECOMIC SU UNA DELLE ICONE DELL’UNIVERSO DC SORRETTO DA UNA IMPECCABILE GAL GADOT, WONDER WOMAN

wonder woman locandinaGENERE: azione, avventura, fantastico

DURATA: 141′

USCITA IN SALA: 1° giugno 2017

VOTO: 3,5 su 5

Prima di diventare Wonder Woman, Diana (Gal Gadot) era la principessa delle Amazzoni, cresciuta su un’isola protetta dal mondo e addestrata per essere una combattente invincibile. Quando un pilota americano, Steve Trevor (Chris Pine), precipita sull’isola e le racconta di una guerra mondiale che sta accadendo tra gli uomini nel mondo esterno, Diana decide di lasciare la sua patria decisa a fermare il conflitto. Combattendo al fianco degli esseri umani, l’amazzone scoprirà lentamente i suoi poteri e apprenderà anche il suo destino.

Amazzone, guerriera, da icona del femminismo a simbolo di pace e giustizia: la Wonder Woman portata sullo schermo da Patty Jenkins rimarca tutte le caratteristiche del personaggio creato originariamente da  William Moulton Marston. Sembra quasi necessario suddividere il film in due parti, di cui una prima dedicata all’infanzia e alla creazione di Diana, la seconda volta a raccontare le vere origini del mito di Wonder Woman, la donna che da amazzone scopre il suo destino realizzandosi come dea, non al di sopra degli uomini, ma restando ai loro eguali – o quasi.

Ci sono volute quattro pellicole per far carburare il DC Extended Universe, dopo la buona partenza de L’Uomo D’Acciaio, un quasi riuscito Batman V Superman e il fallimentare Suicide Squad. Wonder Woman mostra già di aver fatto dei passi in avanti, ma non è abbastanza. C’è qualche perplessità a livello di sceneggiatura, che appare debole, con un uso del linguaggio quasi banale (“Sei un tipico esempio del tuo sesso”, “Sono sopra la media”), per non parlare della CGI a tratti imbarazzante.

Nel complesso, però, Wonder Woman può contare sull’incarnazione di Gal Gadot, che ancor meglio di come si era presentata in Batman V Superman, nel suo primo standalone riesce a personificare l’amazzone in tutte le sue sfaccettature. L’idea di ambientare il film nella Prima Guerra Mondiale, invece che nella Seconda, permetterebbe alla Jenkins di esplorare la condizione femminile nell’epoca delle suffragette e ad evidenziare il forte nazionalismo dei Paesi in lotta, cosa che si rivela però abbastanza forzata. Così come introdurre il gruppo etnico che guida Diana formato dall’agente Steve Trevor, lo scozzese Charlie (Ewen Bremner), l’indiano Chief (Eugene Brave Rock) e l’arabo Sameer (Saïd Taghmaoui), che dovrebbe attualizzare il contesto.

Al di là dei suoi evidenti punti deboli, il film lancia il sottile messaggio universale: ognuno combatte le proprie battaglie. Diana è dotata di una grande forza d’animo, ma anche di una tenera ingenuità verso ciò che non riesce a comprendere (che ci rispecchia un po’ tutti vista la situazione geopolitica attuale): una guerra che crede di poter fermare perché incollata a delle convinzioni arcaiche.

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Linguista, aspirante giornalista, amante del cinema, malata di serie tv, in particolare dei crime polizieschi.