L’incredibile vita di Norman: recensione

RICHARD GERE NEI PANNI DI NORMAN, IL FACCENDIERE DAL CUORE D’ORO CHE PER MOLTI POTREBBE VALERGLI LA PRIMA STATUETTA AGLI OSCAR

norman locandinaGENERE: drammatico

DURATA: 117 minuti

USCITA IN SALA: 28 settembre 2017

VOTO: 3,5 su 5

Norman Opphennaimer si presenta agli altri come un uomo d’affari impegnato a trovare qualsiasi cosa si desideri. Vende sogni, adoperandosi in prima persona affinché diventino realtà: insomma fa favori e prova a guadagnare dalle sue conoscenze solo per acquistare fama. Pochi anni dopo aver avuto a che fare con lui e qualche favore più tardi, Micha Eshel, un giovane politico israeliano, viene eletto Primo Ministro: il giorno che Norman ha tanto desiderato sembra finalmente arrivato. Ma quanto durerà questa bella sensazione?

L’incredibile vita di Norman, co-produzione Usa-Israele, affronta un tema importante ma con leggerezza: è una commedia amara, un dramma a tratti divertente che pone al centro la figura del faccendiere. Ce ne sono in ogni Stato e in ogni contesto, ma il regista e sceneggiatore Joseph Cedar decide per questa pellicola di ispirarsi a una figura in particolare, quella dell’ebreo cortigiano, cioè colui che si mette al servizio degli altri ricevendo però solo invidia e cattiverie in cambio.

A differenza della maggior parte dei faccendieri, Norman è un uomo portato al compromesso, ma anche vero, sincero, gentile, di buon cuore: vorrebbe dare davvero alle persone ciò che promette loro, nonostante sia un imbroglione totale del quale non riusciamo a capire nemmeno dove abiti, o chi sia la sua famiglia.

Pochi sono i suoi rapporti con terzi che riusciamo a scovare: quello con l’amico avvocato/finto nipote (Michael Sheen), quello con il rabbino della sinagoga che lo accoglie (Steve Buscemi) e naturalmente quello con il Primo Ministro (Lior Ashkenazi). Ma quanto disinteresse c’è davvero? Tutti, in modo o nell’altro, si aspettano di avere qualcosa da lui, che estremamente solo, vuole accontentarli per sentirsi bene e ben voluto. Soprattutto verso quest’ultimo Norman sembra più dipendente, e c’è un’importante simbolo della loro amicizia, cioè le scarpe che regala a Micha durante il loro primo incontro. Queste segnano l’inizio e la fine del loro rapporto, e il momento in cui il politico le indossa, aiutato dal tuttofare che si inginocchia servilmente ai suoi piedi in una scena in stile Cenerentola, stabilisce le parti fra i due: la loro amicizia è un aspetto della storia insieme al potere, ma la continuità del potere vince sull’amicizia stessa, che viene calpestata.

Richard Gere si cala alla perfezione nei panni di Norman, discostandosi dai suoi ruoli precedenti, per un’interpretazione che per molti già profuma di Oscar. Qui è un perdente che gira per la città alla ricerca di qualcuno al quale prestare i suoi favori e le sue conoscenze, con cuffiette nelle orecchie a sventola, un lungo cappotto e bigliettini da visita sempre pronti ad essere distribuiti; solo e dipendente dal pensare agli altri prima ancora che a sé stesso, necessita della loro accettazione per stare bene.

E proprio come suggerito nel film, la vita somiglia al movimento di una ruota panoramica: nulla è fisso e costante, ma fatto di alti e bassi. Il problema è pensare che tutto sia permanente, perché la felicità è possibile solo accettando questo movimento: Norman lo capirà?

 

 

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