Incontro con i fratelli dardenne

I DUE REGISTI RACCONTANO “IL RAGAZZO CON LA BICICLETTA”

Cyril ha quasi dodici anni e una sola idea fissa: ritrovare il padre che lo ha lasciato temporaneamente in un centro di accoglienza per l’infanzia. Incontra per caso Samantha, che ha un negozio da parrucchiera e che accetta di tenerlo con sé durante i fine settimana. Cyril non è del tutto consapevole dell’affetto di Samantha, un affetto di cui ha però un disperato bisogno per placare la sua rabbia…

COME È NATO IL RAGAZZO CON LA BICICLETTA?

Luc: Da tempo eravamo ossessionati da una storia: quella di una donna che aiuta un ragazzo a liberarsi della violenza di cui è prigioniero. L’immagine che per prima ci veniva in mente era quella di questo ragazzino, questo fascio di nervi, placato e quietato grazie ad un altro essere umano.

Jean‐Pierre: All’inizio pensavamo che Samantha dovesse essere un medico, ma alla fine abbiamo preferito che fosse una parrucchiera, ben radicata nel suo quartiere.

PUR ESSENDO MOLTO COMMOVENTE, IL FILM SFUGGE AL SENTIMENTALISMO.

Jean‐Pierre: Per fortuna!

Luc: Per noi era importante che lo spettatore non scoprisse mai perché Samantha è interessata a Cyril. Non volevamo che emergesse alcuna motivazione psicologica. Non volevamo che il presente fosse giustificato dal passato. Volevamo che lo spettatore pensasse «Lo fa e basta!».

E questo è già molto.

CYRIL SI MUOVE CONTINUAMENTE. NON STA FERMO UN MINUTO.

Jean‐Pierre: Sì. E’ spesso sulla sua bici… Un ragazzino senza legami che rincorre l’amore senza saperlo.

Il rapporto genitori‐figli è spesso presente nei vostri film: La promessa, L’enfant, Il figlio. Perché?

Luc: Siamo tutti «figli» e «figlie di»… Nonostante la violenza della storia di Cyril, il film ha qualcosa di luminoso.

Jean‐Pierre: Sì, abbiamo cercato di dare una certa fluidità, una certa limpidezza alla regia. L’abbiamo girato d’estate, fatto assolutamente inedito per noi.

E’ DIFFICILE MOSTRARE IL SENTIMENTO DELLA COMPRENSIONE IN UN FILM?

Luc: In linea di massima la cattiveria è sempre più divertente da mostrare. Ovviamente bisognava evitare tutti i cliché della compassione, e attenersi il più possibile ad aspetti come l’apertura e lo scambio.

Jean‐Pierre: Non ci è capitato spesso di filmare qualcuno che vuole bene a qualcun’altro. Girare d’estate ci ha aiutati a dare al film una certa luminosità e una certa dolcezza. E poi per questo basterebbe la presenza di Cécile de France.

COSA SIGINIFICA PER VOI QUESTO FESTIVAL?

Jean‐Pierre: E’ molto importante presentare lì i nostri film. Ogni volta è una bella rimpatriata. Ci piace sentire quella speciale adrenalina che si prova solo a Cannes.

Luc: Il nostro cinema deve molto al festival. Lì proseguiamo il nostro cammino, fino ad ora sempre positivo…

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