Machete: recensione pulp

ESTREMO E VIOLENTO, COMPIACE CHI AMA GIÀ IL GENERE TRASH

Il “Machete” è un’arma a doppio taglio. Lama di distruzione di massa, in quanto pubblico esasperato dalla violenza parodistica messa in scena, e lama di precisione, quasi chirurgica, nel momento in cui tocca vette elevate nella sua trasposizione su pellicola. Tocco finale marchiato Robert Rodriguez di un genere frullatissimo che definiremmo con un’unica parola: pulptrashexploitation.

Perché per accostarsi al film bisogna essere davvero preparati, fegato buono, visione del cinema multilaterale e passione viscerale per le carneficine ad alto tasso di surreale spettacolarità. Gag e colpi di mitra a raffica, lame e teste volanti, viscere come liane e lingue taglienti piazzate sapientemente nel copione dall’amico texano di Tarantino, che fa recitare un cast d’eccezione in ruoli “poco consoni”.

A partire dal protagonista,il truce e tatuatissimo, nonché ex galeotto, Danny Trejo, un attore icona per lo stesso Rodriguez e per il popolo caliente, un idolo in terra messicana, ancor prima di interpretare la leggenda di uomo che si crea la propria giustizia, ovvero (“Sento qualcosa di duro qua sotto. È il mio…”) MACHETE.

Viandante dal passato misterioso e violento, assunto come sicario, viene tradito e braccato come successo in molti altri film, sopravvive, cerca e ottiene la sua vendetta con un manipolo di compari molto sexy e diventa paladino degli immigrati. La rivolta dei giardinieri potrebbe essere la frase di lancio, considerato che il sottotesto è la parabola del messicano irregolare che vive e lavora negli Stati Uniti, la violenza fumettistica che copre a suon di battute sagaci (il lutto non è contemplato da quelle parti) l’orrore della quotidianità, il dramma dell’oppressione e la spietatezza umana dinanzi al potere.

Però bisogna scavare molto in fondo prima di arrivare a tali sentenze, farsi largo tra corpi decapitati e schivare colpi di arti marziali ben assestati. DeNiro, Alba, Rodriguez, Lohan e l’imbolsito inespressivo Steven Seagal fanno da contorno a questa guerra tutti contro tutti, ma per quale ideale? Non basta certo una sana cattiveria contornata da splatter per raccontare un problema, non bastano talvolta scene raccapriccianti e divertenti per sedurre il già appassionato spettatore, non bastano due protagoniste molto hot e un antieroe cappa e spada per fare di una pellicola un’opera d’arte.

Ci sarebbe bisogno di maggiore sostanza sceneggiativa nel riprodurre un B-movie come questo, che in quanto a trovate resta indietro rispetto ai suoi predecessori (“Desperados” su tutti..), tossisce nella polvere del deserto e stenta ad ingranare emotivamente.

Il motivo è molto semplice, quasi teatrale volendolo salvare a tutti i costi, il film è realizzato per il puro intrattenimento dello spettatore, affamato e volitivo, che assiste ad una feroce commedia dell’arte col gusto sadicamente odierno della risata di fronte al male. L’unica arma per combattere i soprusi, quando proprio non si ha un machete a portata di mano.

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