Venezia 2011: hahithalfut (the exchange) – recensione

ALLEGORICO E STRANIANTE: FILM PER VERI INTENDITORI

Il Medio Oriente è una fabbrica in fermento, che propone da decenni, nonostante le ristrettezze dovute alle precarie condizioni politiche, delle pellicole sempre interessanti, intelligenti e gradevoli. Non è da meno lo straniante “Hahithalfut (The Exchange)” di Eran Kolirin, opera seconda del regista, presentata oggi in concorso al festival del cinema di Venezia.

La prima impressione che si ha, alla fine della visione, è quella di essere dentro quel filone, portato avanti soprattutto dal regista Elia Suleiman, in cui il protagonista è assolutamente inerte e silenzioso, che ha cambiamenti impercettibili, ma radicali.

La storia di Kolirin è molto semplice e raccontata con grande astuzia ironica. Un giovane uomo sposato, con un buon lavoro all’università ed una vita assolutamente normale, ritorna un giorno a casa e, guardando la sua vita dall’esterno, non si riconosce più in quello che è. Interpretato magistralmente da Rotem Keinan, il protagonista vive una discesa agli inferi che sfocia a poco a poco nella follia, attraverso un’amicizia particolare con un vicino di casa.

Il film è una allegoria della realtà contemporanea, che si concretizza nel lavoro di Kolirin attraverso la non-azione, con l’impossibilità di prendere una decisione, con la consapevolezza di non saper più essere felici nemmeno per le piccole gioie della vita.

“Hahithalfut” è un buon lavoro, da sconsigliare a tutti quelli che amano il cinema d’azione, ma che sarà apprezzato dai veri appassionati di cinema.

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