Il villaggio di cartone: recensione film

OLMI E UNA CHIESA SCONSACRATA PER PARLARE D’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA

Quanti modi ci sono per raccontare una tematica complessa e delicata come quella dell’immigrazione? Dai numerosi film e registi che hanno trattato questo argomento alla Mostra del Cinema di Venezia molti, e quello di Olmi probabilmente è stato il più particolare.

Il punto di vista è quello di un anziano prete che vede chiudere la chiesa dove ha svolto il suo compito per una vita, e si vede costretto a ritirarsi per l’inagibilità dell’edificio. Vede davanti a sé i giorni scorrere mestamente, finchè la sua chiesa non diventa un rifugio per degli immigrati clandestini. Da quel momento in poi gli avvenimenti e il sentire il peso della vecchiaia, lo porteranno a porsi quesiti sulla sua vita, sulla società e sul ruolo che la chiesa ha avuto e può avere.

Una pellicola fatta di silenzi e sguardi dove i gesti, in un mondo fatto di persone che parlano lingue differenti tra loro, assumono un’importanza cruciale sui destini del singolo e della collettività.

Il luogo è un non luogo, e diventa così metafora dell’universo. Ogni immagine ha un significato ben preciso per il regista, e l’iconografia religiosa è utilizzata come ulteriore mezzo per il racconto.

Olmi in questo film esprime, attraverso la sua visione, una società in difficoltà, dove il bene e il male vivono in un confine talmente labile, che in certi momenti è difficile comprenderne i limiti e le ragioni.

È una speranza amara quella che vuole trasmettere il finale, se i piccoli gesti e l’amore fanno sopravvivere l’uomo, allo stesso tempo Olmi mette in allerta lo spettatore mostrando che bisogna sempre difendersi dal prossimo, senza mai fidarsi fino in fondo.

Un film interessante nella sua rappresentazione ma che rischia di essere troppo lento, e in certi momenti ripetitivo. Riesce però a trasmettere fin troppo bene quel senso di attesa e lo stato d’ansia che i personaggi vivono, tanto che lo spettatore inizia ad attendere insieme a loro che accada qualcosa, e nel momento dei titoli di coda però quello che si prova è una grande empatia e una sgradevole sensazione di amarezza.

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