Valhalla rising: estetica dello sguardo

REFN INCANTA ANCHE QUANDO RISULTA DIFFICILE DA INTERPRETARE 

scozia medioevale. Solo fango, nebbia e sangue. Un guerriero muto, dalle origini sconosciute, senza un occhio e dalla forza incredibile segue un gruppo di guerrieri su un vascello vichingo alla volta della città santa: Gerusalemme. Partiti per conquistare il paradiso e persa la giusta rotta, si troveranno all’altro capo del mondo in una terra sconosciuta e mortale.

Un inferno. 

Un film decisamente particolare, quasi sperimentale: è un viaggio, un’avventura, una lunga epopea nelle terre del nord. Ma dimenticatevi creature fiabesche, riprese aeree mozzafiato e musiche faraoniche. Ogni fotogramma sembra un’istantanea, ma contiene sempre un elemento estraniante grazie alla fotografia sovraesposta, sottoesposta o con un viraggio rosso sangue. 

Refn (regista dello splendido “Drive”) continua la sua celebrazione dell’ estetica della violenza, cominciata con la trilogia di “The Pusher”, finalizzandola e sfruttandola per definire al meglio l’incredibile OneEye (il guerriero muto) ed il momento storico in cui si muove. Mads Mikkelsen ci dona un’interpretazione “vecchia scuola” veramente ammirevole, affidando la caratterizzazione del personaggio solamente alla fisicità, alle espressioni facciali e agli sguardi (di un solo occhio!). 

Ovviamente lo consigliamo, ma per comprendere in toto la pellicola e le sue allegorie occorrerebbe una notevole dose di conoscenza della mitologia nordica e dei suoi innumerevoli simbolismi. 

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