La talpa: pareri opposti sul film

LA REDAZIONE SI METTE A CONFRONTO SULL’ADATTAMENTO DI LE CARRE’

Il film La Talpa è ambientato negli anni 70 e racconta la storia di George Smiley, un ex agente del MI6 ormai in pensione, alle prese con la nuova vita fuori dai servizi segreti. Quando un agente caduto in disgrazia gli rivela la presenza di una talpa nel cuore del Circus, Smiley è costretto a rientrare nel torbido mondo dello spionaggio. Incaricato di scoprire quale tra i suoi ex colleghi abbia deciso di tradire lui e il paese, Smiley restringe la ricerca a quattro possibili sospetti.

1-QUALE TIPO DI PUBBLICO POTREBBE CONQUISTARE?

CLAUDIA QUAGLIERI: Inghilterra 1973. Il ritmo lento non dà il tempo di abituarsi, piomba addosso trascinando lo spettatore nei lunghi silenzi che circondano volti addestrati alla non espressività. Si è costretti ad entrare in un mondo abitato da esseri solitari, destinati a rimanerlo per un voto che non tutti riescono a rispettare.  Un gioco di ombre, tessuto su una puntuale, cruda e pungente riflessione sulla fedeltà, nei suoi più svariati aspetti. Il pubblico sarà affascinato da un intrigo grigio, profondo, così sottilmente costruito da risultare spesso incomprensibile. Una danza lenta e pericolosa che mette in gioco i rapporti umani e la vita stessa. Il tutto portato in scena da un cast incredibile, formato da molti grandi del cinema contemporaneo.

SIMONE BRACCI: Direi che a fatica potranno beneficiare della visione coloro che amano i tempi morti di una pellicola, il montaggio “sovietico” e la recitazione concentrata. Il tutto condito da uno stallo delle immagini che richiede una grande dose di pazienza per arrivare alla fine della seconda ora.

 

2-FUNZIONA NEL SUO ADATTAMENTO DAL LIBRO?

CQ: Ogni qual volta un regista decide di imbarcarsi nella trasposizione cinematografica di un romanzo, si trova necessariamente di fronte ad una sfida molto rischiosa. Il film sarà troppo fedele? Sarà troppo distorto? Riuscirà a trasmettere il senso profondo del libro? Ecco, quando la pellicola riesce a portare sullo schermo una sintesi perfetta tra l’identità del romanzo, l’interpretazione del regista (compresa la sua necessità di preservarne o nasconderne degli aspetti) e la mediazione degli sceneggiatori, allora il risultato funziona.

SB: Funziona nelle atmosfere descrittive da libro appunto, il romanzo di John Le Carrè, ma…essendo questo un film la dilatazione della storia e la totale assena di ritmo impongono una riflessione sulla creatività applicata alle trasposizioni. In sede di sceneggiatura bisognerebbe capire cosa funzioni sullo schermo (la parte di spionaggio) e cosa rimanga buono per una pagina di carta.

 

3-LO CONSIGLIERESTI MAI?

CQ: Lo consiglio. A tutti coloro che non si aspettano soltanto un intrigo ma una profonda riflessione sulla forza e la debolezza dell’animo umano. Agli amanti dello spionaggio, per la costruzione minuziosa, i silenzi ed i tempi dilatati. Agli amanti della fotografia, per l’aderenza incredibile dei colori alla psicologia dei personaggi. Agli amanti della recitazione, per la mirabile prova artistica del cast al completo.

SB: Non propriamente, nel senso che non lo boccio in toto anche per la performance notevole di un invecchiata spia Gary Oldman, a caccia del traditore nell’Inghilterra degli anni 70, ma al contempo non tenderei ad esaltarlo. Si tratta pur sempre di un gioco al gatto col topo già visto e con rari lampi di emozioni narrative. Non a caso il regista è svedese…

SCRITTO DA CLAUDIA QUAGLIERI E…

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