Lech majewski: intervista all’autore che ama l’italia

IL REGISTA POLACCO RACCONTA IL SUO RAPPORTO CON BRUEGHEL E IL SUO DEBITO CON L’ARTE ITALIANA

Lech Majewski non è solo un regista cinematografico, è anche un pittore, uno scultore, un regista teatrale e realizza poemi visuali esposti al MoMa. Tutto questo sempre all’insegna della sperimentazione e della rivoluzione, istinto che condivide con il pittore olandese Pieter Bruegel cui ha dedicato il suo ultimo film, I colori della passione.

F4L: Lei conosce bene la storia dell’arte occidentale quindi perché, tra i tanti geni del Cinquecento, ha scelto di dedicarsi proprio a Bruegel?

LM: Credo che sia importante “incontrare” gli artisti di cui ci si occupa e con l’opera di Pieter Bruegel è iniziata una lunga osservazione all’interno della stanza 10 del museo di Palazzo Venezia, che contiene tutti i suoi capolavori. Passavo ore in quella stanza, ero ammaliato da quei quadri e dalla loro capacità narrativa. L’osservazione è fondamentale: anche il quadro più complesso e l’artista più enigmatico possono essere compresi se li si scruta con attenzione e dovizia.

F4L: Cosa l’ha spinta a lavorare su un quadro ben preciso?

LM: Bruegel è un artista rivoluzionario, nessuno prima di lui aveva sconvolto i piani compositivi in modo tanto radicale. Nell’opera La salita al calvario Gesù è nascosto in mezzo alla folla, in primo piano ci sono altri personaggi. Il genio olandese non mostra mai in primo piano il protagonista della scena… Se nascondi qualcosa, la rendi più forte. Bruegel voleva che lo spettatore (di un quadro o di uno schermo) non fosse pigro, voleva insegnargli a guardare al di là del proprio naso, dove spesso invece l’osservazione si ferma. Nel mio film Rutger Hauer spiega a Michael York come la gente si distragga continuamente da ciò che è veramente importante, soprattutto se lo ha di fronte agli occhi. Tanto vale allora, nasconderlo e stimolarne la ricerca.

F4L: Il film è stato acquistato in 54 paesi, 55 con l’Italia. È deluso dal fatto che il nostro paese, che lei dichiara di amare molto, abbia deciso di distribuirlo solo in 20 copie?

LM: (Esordisce in italiano con un accorato «Finalmente Italia, mio amore») L’Italia è il paese dell’arte per antonomasia anche se l’amministrazione sembra non accorgersi del mondo meraviglioso che ha sotto mano. Per è me importante che il mio film venga proiettato qui, se pur in poche copie. Mi ha reso felice sapere che anche in Italia si era trovata una distribuzione. Ho un debito con l’arte di questo paese che probabilmente non potrò mai sanare. Quando ero appena un ragazzo vidi all’Accademia di Venezia La tempesta di Giorgione e pensai che un’arte così apparteneva al passato e non sarebbe mai più tornata. Poi, vidi Blow up e nella scena del parco ritrovai quella stessa atmosfera, identica. Rimasi meravigliato da Antonioni che anni più tardi mi strinse la mano augurandomi “buona fortuna”.

F4L: Preferisce occuparsi di belle arti o di cinema? E quale dei due campi giudica più “nobile”?

LM: Per me non c’è nessuna differenza. Ci sono cose che devono essere musicate, altre filmate, altre ancora dipinte o scolpite. Ogni cosa deve essere espressa e rappresentata attraverso il campo semantico e artistico che meglio può farlo.

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