Parola a marco luca cattaneo, regista di amore liquido

IL GIOVANE CINEASTA RACCONTA IN ESCLUSIVA IL DIFFICILE MONDO DEL CINEMA INDIPENDENTE ITALIANO

Attraverso la storia di Mario, un quarantenne operatore ecologico della città di Bologna, affetto dall’ossessione della porno dipendenza online, “Amore Liquido”, denuncia una situazione contemporanea caratterizzata radicalmente dalla precarietà affettiva, in cui i rapporti tra le persone diventano “liquidi,” cioè incapaci di durare nel tempo perché immagine di una società simulata. In un mondo in cui i rapporti interpersonali si creano e si sviluppano attraverso il social network, il protagonista Mario, pur avendo conosciuto Agatha, una ragazza madre, piena di vita e desiderosa di una relazione stabile e concreta, non avrà il coraggio di assecondarla, fuggendo vigliaccamente dalla realtà e rifugiandosi ancora nella virtualità di una vita precaria sentimentalmente.


Perché hai scelto questo tema per il tuo primo lungometraggio?

L’idea di girare un film sulla porno-dipendenza è nata quasi per caso; un giorno, entrando in libreria, ho visto un volume dal titolo curioso “Porno Potere”. E’ un saggio di una giornalista americana, Pamela Paul, che ha condotto una ricerca sulla dipendenza dalla pornografia on-line negli Stati Uniti. Leggendo il libro, corredato da decine di interviste e dati analitici, sono rimasto esterrefatto nello scoprire un mondo di cui non sospettavo neppure l’esistenza. A quel tempo stavo lavorando su una storia che raccontasse delle difficoltà dei legami affettivi nella nostra contemporaneità, difficoltà, non solo dovute a situazioni economiche precarie, ma anche, e soprattutto, ad un vero e proprio cambiamento antropologico in atto. Avevo incontrato e intervistato Zigmunt Bauman, uno dei più importanti sociologi contemporanei, ed ero rimasto affascinato dalla sua teoria sulla “liquidità”, dall’idea che in una società che consuma tutto velocemente anche le relazioni tra gli esseri umani, e quindi anche quelle affettive, tendono a rientrare in logiche consumistiche di mercato, dove la ricerca continua della novità e “dell’altro” diventa il valore fondante della relazione. 
 

Hai utilizzato la pornografia per raccontare la desolazione e la solitudine della società contemporanea. Come sei arrivato a questa decisione?

Credo che la dipendenza dalla pornografia on line sia solo uno spunto, il pretesto per parlare appunto non solo della precarietà affettiva che oggi viviamo, ma anche della grandissima solitudine in cui siamo immersi. Certo il problema della pornografia, o meglio dell’ossessione per la sessualità della nostra epoca, in particolare da parte maschile, non è sicuramente secondario nel film. Mario, il protagonista del film, non riuscendo a stabilire relazioni affettive nella sua quotidianità, si rinchiude nell’universo della pornografia on-line, ma questo influenza poi il suo modo di vivere, di vedere il mondo e gli altri, in particolare le donne, in un circolo vizioso che si autoalimenta sfociando in una vera e propria ossessione.

 

Hai utilizzato una messa in scena realistica, in cui non sono i dialoghi, ma le immagini a narrare la storia. Scelta registica?

Il termine realistico, se devo essere sincero, non mi piace molto, anche se comprendo sia un termine convenzionale per indicare un certo tipo di film. I realismi e neo-realismi vari credo siano un fardello che il nostro cinema ancora si porta dietro, con cui debba ancora fare i conti, non avendo avuto la nostra cinematografia una vera e propria Nouvelle Vague, un movimento di rottura con il passato. Non abbiamo ancora ucciso i nostri Padri. Io direi che lo stile del film, rispecchia il mio modo di vedere le cose e di raccontarle utilizzando al massimo la potenza dell’immagine.


Passiamo ora a parlare della tua avventura produttiva. Quali sono state le difficoltà incontrate? I costi del film? Perché la scelta di dirigere un film in digitale?

Il film è costato 25 mila euro, 15 per le riprese e 10 per la post produzione. Le scelte fatte a livello tecnico sono spesso conseguenti a questo low-budget. “Amore Liquido” è comunque nato fuori da un discorso produttivo, fatto con amici del settore che si sono prestati a questa follia, perché non si può certo fare film con questi soldi, non nel senso produttivo classico. E’ un’esperienza nata dopo l’università con un gruppo di lavoro con cui avevo già fatto i primi cortometraggi. Credevo di avere un’idea interessante ma i produttori cui l’avevo sottoposta non hanno mai risposto. Non volendo comunque arrendermi, ho ottenuto 25 mila euro da un imprenditore privato, radunato amici con cui avevo lavorato e dopo 3 settimane avevamo girato il film.


Secondo te perché in Italia è così difficile avere la fiducia dei produttori?

“Amore Liquido” fino ad oggi non aveva avuto distribuzione, ho portato io materialmente il film nelle sale, quelle svincolate dai circuiti; difatti, mancano totalmente esercenti indipendenti non soggetti al ricatto delle major, straniere e italiane, che possano fare una programmazione diversa e alternativa. Il sistema distributivo italiano è ancora quello dell’Italia del fascismo. Inoltre, il sistema produttivo italiano è bloccato, non esiste un vero e proprio mercato e quindi nessuno rischia. Se in Italia i film da fare sono decisi dai soliti noti, perché senza Ministero Rai e Mediaset è difficile che si metta in cantiere un film, capisci che diventa difficile per i produttori uscire da certi schemi. Però tutti ci siamo tutti piegati a questo sistema invece di provare a cambiarlo. Abbiamo dormito un sonno profondo e che chi ne ha fatto le spese è stato proprio il cinema. Un altro problema grosso è la “romano-centricità” del sistema produttivo: a Roma si pensa che il mondo de cinema finisca oltre il raccordo. Peccato che negli ultimi anni le cose migliori nel cinema d’autore siano venute proprio lontane dal circuito produttivo romano, penso a Giorgio Diritti, alla Pivellina, ai fratelli De Serio solo per fare alcuni nomi. Se non si cambia rotta, un certo tipo di cinema, almeno nel nostro paese, è destinano a scomparire.

 

Pensi che qualcosa nel settore del cinema indipendente italiano stia cambiando?

Il cinema indipendente non esiste in Italia, perché la parola indipendenza presuppone appunto di non dipendere da qualcosa o qualcuno e Italia tutto è ricondotto ai due grandi network televisivi. Esiste un cinema spontaneo, “Autonomo” come lo ha giustamente definito Gianluca Arcopinto, uno dei pochi produttori che si possa veramente definire indipendente. Devo ammettere, però, che qualcosa si sta muovendo, alcune realtà associative stanno ragionando su questi punti, forse perché ormai si è giunti a un binario morto.

 Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Penso sempre più spesso di andare all’estero perché qui è diventato quasi impossibile anche solo pensare di fare un certo tipo di film. Devo dire che il piccolo successo di “Amore liquido” non è servito molto da questo punto di vista. Presto tornerò a Parigi, anche se vorrei lavorare nel mio paese, le mie storie vengono da qui, e vorrei poterle raccontare. Non mi arrendo, non ancora, e ho deciso che intanto il prossimo film lo produrrò ancora una volta da solo, con un piccolo budget che sto cercando personalmente di mettere insieme attraverso investitori privati. Sarà un film su Bologna, su i cambiamenti di una città da sempre definita il laboratorio della sinistra, perché capire cosa si è rotto lì può forse aiutarci a capire cosa si è rotto nel nostro paese, da dove ricominciare per ricostruire il nostro futuro. Anche nel cinema.

Non possiamo non fare i nostri auguri di miglior successo a un giovane come Marco Luca Cattaneo, che con coraggio sta lottando contro un sistema bloccato e che, nonostante le difficoltà, ha ancora la forza di svolgere il suo lavoro al meglio, regalando al nostro paese la sua arte. “Amore Liquido” sarà nelle sale del circuito di Distribuzione Indipendente dal 6 aprile. 

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