Riff: due opere al femminile

UN DOCUMENTARIO E UN FILM DI FINZIONE CON PROTAGONISTE RAGAZZE RIBELLI

Durante le giornate conclusive del Rome Independent Film Festival sono stati proiettati due film che apparentemente non hanno nulla in comune ma che, tra le tante cose, raccontano entrambi storie di ribellione femminile ad un sistema che non le soddisfa. Il primo film in questione è un documentario che si propone di far conoscere la dura situazione delle giovani ragazze della Turchia dell’Est cui viene negato il diritto allo studio e alla dignità civile. La seconda opera è un film di finzione, uno scorcio sulla realtà neonazista nella Germania odierna, ma dal punto di vista delle ragazze che ne fanno parte (anche troppo) attivamente.

Girls of hope è un bellissimo esempio di cinema della realtà realizzato da Aysegul Selenga Taskent, regista e docente di cinema all’Università di Istanbul, che racconta quanto l’arretratezza culturale della Turchia dell’est pesi sul futuro delle giovani donne. Alla maggior parte delle ragazze non è permesso di studiare perché i loro padri e fratelli preferiscono che si occupino della casa. Per tutta la durata del film, le ragazze sono chiamate a raccontare quello che provano e come vorrebbero che fosse il loro futuro. Le giovani sono tante ma hanno una cosa in comune: la voglia di studiare, perché «se studi, sarai libera». Sono forti, decise a ribellarsi ad un atteggiamento culturale che le vuole schiave e subordinate all’altro sesso. La forma è piuttosto tradizionale, rientra negli standard delle pratiche documentarie degli anni 2000, ma si distingue dalle altre produzioni per la delicatezza del racconto, l’intensità delle protagoniste e la bellezza delle situazioni riprese, spesso involontariamente.

Molto diversa invece, è la femminilità mostrata in Combat girls (titolo originale “La guerriera”) di David Wnendt. È la storia di Marisa, una ragazza tedesca che, quando non fa la cassiera nel supermercato di famiglia, passa il tempo a bere e a pestare tutti gli immigrati che incontra per strada, in costante compagnia del suo gruppo di neonazisti. Il film si apre con il mare in campo lungo e la sua voce fuori campo (apertura identica a quella di American History X) che ci spiega il motivo della sua idea politica: «la democrazia ha rovinato il mio Paese. Non è possibile essere tutti uguali». Abbracciare l’ideale nazista è dunque, una prima forma di ribellione da parte di Marisa cui se ne aggiunge un’altra nel corso del film. La sua compagnia vive immersa nell’odio e nella violenza che scatena senza controllo; la ragazza capisce presto che questo tipo di vita non la porterà lontano e tenta di staccarsene facendo la valigia e colpendo il suo ragazzo con una mazza da baseball. La sua volontà di ribellione è forte, ma il risultato sarà meno positivo di quanto si aspettasse…

Due storie di ribellione di tipo diverso, definita anche nei titoli: il primo, “le ragazze della speranza”, fa chiaramente riferimento ad una spinta pacifica, portata avanti con lo studio e che possa condurre al riscatto sociale. La ribellione di Marisa è invece violenta, dura e mossa dalla rabbia e dalla delusione nei confronti dello Stato stesso del microcosmo dei suoi “amici”. Si tratta di due storie intense, lontanissime fra loro ma in qualche modo avvicinate dalla grinta femminile che si rivela essere comune a tutte le giovani donne oppresse, che non ci stanno più.

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