Venezia 69: izmena – betrayal – recensione

KIRILL SEREBRENNIKOV MOSTRA IL SUO LATO ESTETICO E GIRA “IL TRADIMENTO” DA MOLTEPLICI ANGOLATURE

GENERE: drammatico

Nella natura umana esiste il tradimento o è il concetto di matrimonio che è totalmente rivisitabile dinanzi alla passione? Serebrennikov se lo chiede, provocando, esasperando, ponendo sull’altare di vittime e carnefici i corpi di due personaggi che non hanno nulla in comune e dal nulla diventano amanti. Quasi di riflesso.

Sono tante le domande che la pellicola del regista russo affronta nel corso della sua lunga narrazione, la quale soffre indecisione sul taglio finale da dare ad un film di forte impatto estetico, ma che a seconda della scelta formalista vira senza difficoltà dal noir al burlesque. Un uomo e una donna comuni, i cui rispettivi coniugi sono amanti, si trovano ad affrontare la consapevolezza ognuno in maniera personale e indissolubilmente legata all’altro. Franziska Petri è l’eccezionale cruna dell’ago in una Russia mai così fredda e distante in ogni taglio nell’inquadratura, la sua storia s’intreccia con l’uomo dell’altra parte, il marito confuso (o forse smarrito) del contraltare donna, Dejan Lilic.

Deliziosamente complesso, così come audace è la scelta “pittorica” di omettere la colonna sonora che crea ampi silenzi e puntella il cuore nello sguardo indiscreto dello spettatore. L’obiettivo è frugare senza sosta nella mente dei protagonisti e indagare l’animo umano. Volutamente confuso e in questo caso sostenuto da Serebrennikov lungo la strada della ragione, smarritasi nell’unione viscerale tra amore e morte, quale snodo inevitabile nella loro complessa (non) vita di coppia. Il problema di fondo nasce però da una visione esteticamente ammaliante, che non copre con sufficiente asfalto narrativo le buche di scrittura, seppur parzialmente velate dall’ottima interpretazione del cast.

Proprio lì si fonda il resto del film, nella bellezza degli sguardi e nella sofferenza dei volti d’attore.

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