E la chiamano estate: recensione film

DELUDE IL LUNGOMETRAGGIO DI FRANCHI IN GARA AL SETTIMO FESTIVAL DEL CINEMA DI ROMA

GENERE: drammatico

DATA DI USCITA: 22 novembre

“Non ho niente dietro le spalle e neanche davanti” ripete la voce del protagonista più volte. E in effetti di un film, sullo schermo, non pare esserci nulla.

Paolo Frachi non è Steve McQueen e il suo tentativo di creare un capolavoro psicologico come Shame con E la chiamano estate è miseramente fallito. Quello che è riuscito a fare il regista di La spettatrice, nonostante la sua formazione psicanalitica, con il suo lungometraggio, in concorso al settimo Festival Internazionale del Cinema di Roma, non ha fatto altro che degradare la storia di una coppia che, sinossi alla mano, avrebbe potuto essere interessante da guardare sul grande schermo se il cineasta non avesse banalizzato il tutto con una regia e dei dialoghi a dir poco agghiaccianti.

Anna (Isabella Ferrari) e Dino (Jean-Marc Barr) sono una coppia di quarantenni che stanno insieme da un anno. La loro vita sessuale è inesistente ma nonostante questo la donna ama follemente il suo compagno e lascia che i momenti di tenerezza che non sfociano mai in carnalità bastino a renderla felice. Dino, dal canto suo, al di fuori della bianchissima (probabile simbolo di castità) casa che condivide con Anna ha una vita sessuale e promiscua tra club per scambisti e prostitute.

Quello raccontato nel film di Franchi è un amore puro, verosimile, folle e malato che vuole raccontare la rassegnazione di una donna accecata da un sentimento e un uomo altrettanto innamorato che però non riesce a vedere nella sua compagna un oggetto sessuale. I sensi di colpa di Dino sfociano in un tagico finale.

Il racconto, scandito da fotografie e ricordi di persone che hanno conosciuto la coppia e da una lettera del protagonista retorica e ripetuta fino allo sfinimento, è pregno di dialoghi imbarazzanti e privi di senso e di inquadrature esteticamente inguardabili. I primi piani sul viso sofferente di Isabella Ferrari che si alternano a quelli della sua vagina, frutto più indesiderato che proibito, ridicolizzano l’intero racconto che invece avrebbe potuto essere un bell’affresco della vita di una coppia. Le scene di sesso risultano volgari, e non per la presenza di nudi, ma perché palesemente alla ricerca di censura e scalpore.

Gli attori, anche importanti, che fanno da contorno alla vicenda, come Luca Argentero e la modella Eva Riccobono, palesemente usata ma perfetta nel ruolo della prostituta bisessuale, non aggiungono credibilità al lungometraggio che alla fine rimane stucchevole agli occhi.

Incomprensibile anche la scelta del titolo dato che, a parte l’inizio e la fine in cui la bella e omonima canzone di Bruno Martino fa da sottofondo, di estate non vi è alcuna traccia palese, anzi, si attende calore fino alla fine, ma tutto resta gelido. E lo chiamano cinema.

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