Roma film fest – pezzi: recensione film

LA ROMA DELLA COCAINA PIÙ CRUDA E TOCCANTE CHE MAI NEL DOCUMENTARIO DI FERRARI

GENERE: documentario

DATA DI USCITA: n. d.

La sezione “Prospettive italiane” del Festival Internazionale del film di Roma offre al pubblico ottime occasioni per entrare nella sensibilità dei nostri nuovi registi, quelli che si affacciano agli anni ’10 con prepotenza e, anche se non sempre, poca umiltà. Forse però, la scelta di tematiche e immagini molto forti, non è poi così malvagia. Nel suo ultimo film, Luca Ferrari racconta una parte della realtà romana che molti hanno trattato dal punto di vista della criminalità ma che nessuno ha mai illuminato sotto un altro punto di vista: quello dei tossicodipendenti che vengono condannati – o uccisi – e delle loro famiglie distrutte.

Il contesto il cui personaggi (anzi, persone) come Massimo e sua moglie Bianca si muovono in Pezzi è quello della periferia in zona Laurentina. I due coniugi non sono gli unici ad essere stati in carcere, anche per molti anni, e ad esserne usciti fortemente segnati nell’animo. La salute di alcuni di loro dopo la detenzione si aggrava e la qualità della loro vita inevitabilmente cala. Ci tengono tutti a sottolineare che non hanno pagato per “reati gravi”: hanno sbagliato consumando e spacciando eroina, ma hanno scontato la loro pena e non hanno «mai ammazzato nessuno». Quasi sentono di essere stati puniti in modo sproporzionato rispetto alla gravità che attribuiscono alla loro colpa.

Ferrari seleziona pezzi apparentemente casuali all’interno di un calderone enorme che è quello delle vittime dello smercio di droghe pesanti: guardando il film si capisce invece che sono tutti accomunati da un dolore di fondo, una pena che è rimasta dentro di loro e che probabilmente non li lascerà mai. Sono duri, anche le donne sono toste, ma sono comunque esseri umani: hanno vissuto un’esperienza che li ha segnati negativamente e che li rende tristi, e un po’ li impaurisce anche.

Pezzi è un documentario, dunque girato con una telecamera a mano (con una fotografia molto ben curata dallo stesso regista) che accompagna i protagonisti in giro per le strade e accoglie le loro testimonianze accorate all’interno delle loro case. Il dialetto romano è molto stretto ma il trasporto che gli intervistati provano non ha bisogno di parole: attraverso la gestualità e l’espressività di un gruppo di persone che racconta la sua storia, Luca Ferrari realizza un bel film, commovente come raramente si ha l’occasione di vederne. Il cinema italiano risente molto della tradizione neorealista, è innegabile, ma i registi della “nuova generazione” sanno come reinventarla, e come mantenere vivo il rapporto tra cinema e società.

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