La parte degli angeli: recensione film

KEN LOACH PONE I RIFLETTORI SUL TEMA DELLA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE CON UNA COMMEDIA CHE STRAPPA MOLTI SORRISI E RIFLESSIONI

GENERE: commedia drammatica

DATA DI USCITA: 13 dicembre 2012

Il regista britannico amico del proletariato, torna nelle sale cinematografiche il prossimo 13 dicembre con un film leggero nei toni ma non nelle tematiche sociali che, ancora una volta, proclamano il suo manifesto ideologico. La parte degli angeli, vincitrice del Premio della Giuria a Cannes, è una commedia agrodolce, incentrata sulla mancanza di lavoro in Gran Bretagna, motivo per cui numerosi giovani smarriscono la giusta direzione, dandosi quotidianamente alla delinquenza. Per la sceneggiatura Ken Loach si è avvalso dell’insostituibile amico Paul Laverty.

La storia è ambienta nei sobborghi di Glasgow e si focalizza su un gruppo di ragazzi disadattati (interpretati da attori non professionisti, per risultare maggiormente credibili) che devono fare i conti con la giustizia, prestando servizio in lavori socialmente utili. Tra questi c’è Robbie (Paul Brannigan), un teppista che prima della condanna trascorreva il tempo a fare a botte con il clan rivale ed è finito in prigione per una violenta aggressione.

La vita gli fornisce l’occasione di riscattarsi dopo la nascita di suo figlio, tuttavia, per per riuscire nell’arduo compito di padre e garantire alla sua famiglia un futuro migliore, dovrà ripulire del tutto la sua fedina penale, non prima di aver tentato un ultimo, irresistibile colpo illegale, aiutato dai suoi compagni di sventura. Ecco entrare in gioco il whisky, pregiato distillato, la bevanda sacra degli scozzesi e non un qualunque superalcolico con cui sbronzarsi. In una distilleria viene rinvenuta una rara botte che sarà messa all’asta per circa un milione di sterline.
Il gruppo metterà in atto un piano per rubare il contenuto e dare una svolta alla propria vita, facendo fruttare quei soldi in più nelle tasche.

La parte degli angeli, per definizione, è quel 2% di alcol che evapora quando viene fatto saltare il tappo, disperdendosi inevitabilmente nell’aria. Una percentuale nettamente superiore tra la gente è rappresentata da tutte quelle persone che faticano ad andare avanti e da altri benefattori silenziosi, lavoratori umili e onesti che tendono la propria mano e uniscono le forze, come il personaggio positivo di Harry (John Henshaw), supervisore dei ragazzi, dati per spacciati dalla società, il quale crede nelle loro potenzialità e non li giudica inutili.

In questo film il crudo realismo di Ken Loach si stempera in battute dissacranti, volutamente sboccate, infatti provocano fragorose risate ma non vengono sprecate a vuoto. L’ironia contribuisce a ribadire in modo incisivo il messaggio di solidarietà, forse politicamente scorretto a cui Loach mira. Ciò che conta, in fin dei conti, è la sostanza di valore nei cuori di ognuno.

Maria Teresa Limosa

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