Berlinale 2013: intervista al regista e al cast di “prince avalanche”

IN GARA ALLA KERMESSE BERLINESE IL NUOVO FILM DI DAVID GORDON GREEN

In concorso alla 63ma edizione della Berlinale c’è anche la nuova opera del cineasta David Gordon Green, remake del recente Either Way dell’islandese Sigurðsson, vincitore al Torino Film Festival due anni fa.

Abbiamo incontrato il regista e gli interpreti, Paul Rudd e Emile Hirsch, insieme  alla produttrice Lisa Muskat per porre loro qualche domanda.

Nel suo film c’è un meticoloso lavoro sull’inquadratura. Come si è preparato, quali erano le sue intenzioni?

Era nostra intenzione mantenere uno sguardo curioso, un obiettivo che seguisse gli atori e i personaggi ne loro movimenti e nei loro umori, ma che manifestasse anche un interesse per il paesaggio. Ciò che più ha influenzato l’aspetto visivo del film è, senza dubbio, il fatto che abbiamo lavorato nella natura. Abbiamo cercato, quindi, dei movimenti il più possibile organici, fluidi. Poi anche gli attori dicevano la loro su dove piazzare la telecamera.

Come mai la scelta di fare un remake di un film islandese? E di insistere anche su questo spirito anni ’80, nell’ambientazione, nella musica?

Sì, si tratta di un remake. Il film islandese l’ho visto a Torino due anni fa. Mi era piaciuto molto. Ma perché mi decidessi a riadattarlo occorreva qualcosa. In effetti vicino casa mia c’è una foresta che davvero è stata distrutta dal fuoco. E volevo filmare questa distruzione prima che la natura ritornasse a vivere. Volevo realizzare il film rapidamente con pochi attori. Qualcosa tipo Gerry di Gus Van Sant o Nel corso del tempo di Wim Wenders. Così sono andato a parlare con il mio produttore artistico a New York ed eccoci qua. Quello che mi interessava di Either Way era l’intimità dei caratteri. Per il resto abbiamo rispettato il film per quanto possibile, riportandolo alla nostra cultura. Perché gli anni ’80? Perché quel tempo e quella musica raccontano molto bene quella solitudine che obbliga i personaggi a interrogarsi su se stessi, le loro relazioni.

Quali sono state le difficoltà nel girare il film?

Non molte devo dire. Ormai sono talmente a mio agio dietro la telecamera, da non sentirmi allo stesso modo sicuro dall’altra parte dell’obiettivo. Questo, poi, non è una grande produzione in cui tutti vengono a parlarti di tutto. È un film intimo, piccolo. Siamo partiti dall’idea, poi il luogo, il concept, gli attori. E tutti dicevano la loro. Paul e Emile avanzavano le loro idee e ne tenevamo conto. Adoro questo processo di creazione. Avevamo una sceneggiatura di sole 60 pagine, pochi dialoghi. I personaggi sono cresciuti giorno per giorno. Perciò tutto sembra improvvisato. Ci siamo lasciati andare, aperti all’imprevisto.

E cosa ci può dire della scena nella casa distrutta dal fuoco? E di quella donna misteriosa?

Volevamo raccontare la bellezza della rinascita dopo la tragedia della distruzione. Il sentimento di perdita, che però apre la libertà di creare un’altra cosa. Volevo che il film fosse giocato tutto sul piano emotivo, sul racconto di questa evoluzione di un’amicizia. Per caso, abbiamo scoperto le rovine di quella casa nella foresta. E questa donna stroardinaria, Joyce, che ci ha raccontato la sua storia vera, le cose perse, il suo diploma di volo… La sua ostinazione a restare in un posto da cui erano scappati tutto ci è sembrato un qualcosa di soprannaturale. E Paul in quella scena non è un attore. È vitale, vero, intenso. Siamo quasi nella dimensione del documentario.

E gli attori come hanno vissuto questo film?

Paul Rudd. È stato molto commovente attraversare questo gran parco con gli alberi bruciati, la strada nera. E l’incontro con Joyce è stato davvero uno dei momenti più intensi. Per quanto riguardo il mio personaggio, devo dire che all’inizio era frustrato dal suo carattere. Ma poi, a poco a poco, ho capito. Mi piaceva quest’idea che volesse apprendere il tedesco, andare a vivere in Germania. Probabilmente se fosse stato tedesco, avrebbe sognato di vivere in

Francia. Ecco, è un personaggio che non vive il presente. Qualunque cosa stia facendo, ovunque egli sia, già pensa alla tappa successiva.

Emile Hirsch. Viviamo con i nostri personaggi per un periodo di riprese sempre molto corto. La sfida è quella di calarsi nella loro pelle, per cercarne le motivazioni, i sentimenti. Qui ho cercato semplicemente di liberare la bestia dentro di me.

C’è qualche connessione con Into the Wild? Anche lì c’era un personaggio solo nella natura. 

Emile Hirsch. Sì, probabile. Adoro la natura, adoro girare nella natura. Il personaggio di Into the Wild cerca la solitudine, il contatto con le cose. In questo caso, di contro, mi piaceva l’idea d’interpretare un personaggio che non ama la natura, un personaggio immaturo che non ha la capacità di farsi carico delle proprie responsabilità. Del resto, io sono cresciuto a Santa Fè e vivo da molto a Los Angeles. Quindi conosco gli aspetti di una vita più raccolta e quelli di una vita più frenetica.

Cosa ci potete della musica, invece?

David Gordon Green. Abbiamo lavorato con il gruppo Explotions in the Sky, un gruppo sperimentale texano. Vivono vicino casa mia, sono miei amici, sono fantastici. Abbiamo già lavorato insieme in Snow Angels. A loro si è affiancato David Wingo, un compositore di grande esperienza. È stata una cooperazioni unica. Comunque credo che non ci fosse stato il batterista degli Explotions, il film non sarebbe stato lo stesso.

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