Educazione siberiana: incontro col cast

RITORNA SALVATORES IN UNA VESTE INEDITA E INTERNAZIONALE

Il librodi Nicolai Lilin è stato un grande successo, il film è diretto dal premio Oscar Gabriele Salvatores (Mediterraneo), tra i protagonisti c’è la star hollywoodiana John Malkovich, il pubblico di riferimento non è mai stato ssolo quello italiano. E chi ha già visto e comprato la pellicola la paragona a uno dei capolavori di Sergio Leone, C’era una volta in America.

Sembra davvero un successo annunciato quello di Educazione Siberiana che sarà dal 28 febbraio nelle sale italiane.

Ecco il nostro incontro col cast:

Gabriele, Educazione Siberiana è un film completamente diverso dai tuoi lavori. Come mai proprio in questo momento ha deciso di rischiare con una produzione del genere?

Gabriele Salvatores: Questo è un film di prime volte e proprio per questo è in assoluto uno dei miei preferiti. Penso di aver imparato tantissimo e spero che abbia un buon riscontro di pubblico non solo in Italia, ma che possa dimostrare che esiste una sorta di spirito culturale europeo che ci accomuna.

Domenica notte verranno assegnati gli Oscar, secondo te per quale motivo è sempre più difficile trovare una pellicola italiana in lizza per le statuette?

Diciamo che gli Oscar sono un premio importante, quello più riconoscibile, tanto è vero che la parola è diventata una marchio registrato, ma non possono essere certo il metro di giudizio per verificare se un film sia buono o meno. In fondo sono i riconoscimenti dell’industria americana. Ho visto brutti film vincere l’Oscar, non Mediterraneo, naturalmente (ride), e bellissimi film che invece non sono stati premiati. Ciò che conta è fare film che siano universalmente comprensibili.

Nel film è fondamentale la figura di Nonno Kuzja, un maestro che nella buona e nella cattiva sorte rappresenta una figura chiave per la vita di Kolima…

Abbiamo bisogno di maestri, anche solo per distanziarcene e smentirli. Me ne rendo sempre di più conto facendo il regista. Se ad un attore gli dici, fai tu, lo getti nella crisi più totale, invece bisogna anche prendersi il coraggio di dire, questo è bianco, questo è nero.

Signor Malkovich, lei avuto dei grandi maestri?

John Malkovich: Certamente, ho imparato molto da attori molto più anziani di me e anche da giovanissimi interpreti, come quelli che ho diretto in Francia questa estate.

Il suo ruolo è quello più carismatico di tutto il film. Kuzja è un patriarca solenne e allo stesso tempo affettuoso. Come si è preparato per interpretarlo?

Non ho mai capito questa storia della preparazione, in quanto attore io credo nella pratica. E visto che questo è il mio approccio allora posso dire che mi sono lasciato guidare dalla sceneggiatura. Tutto era scritto e non ho dovuto aggiungere null’altro.

Com’è stato trasformare il suo corpo, vederlo ricoperto di tatuaggi?

E’ stato un lavoro complesso che ha portato via molto tempo, ma la truccatrice è stata davvero brava. Ti rendi davvero conto di quanto importanti siano i tatuaggi nella lunga sequenza della sauna, essi raccontano davvero una storia e dicono molto di Kuzja. Così come gli abiti che indossa.

Gabriele Salvatores: La prima volta che io e John ci siamo incontrati per parlare del filmm gli abbiamo portato un espositore con alcuni abiti di scena. Avreste dovuto vederlo, mentre camminava davanti a loro, toccava le stoffe o controllava i colori. Sarei stato ore a riprenderlo. In questo si vede la grande esperienza teatrale di John, la scelta del costume è davvero un rito.

Signor Malkovich, ha fatto delle ricerche specifiche su questi gruppi criminali siberiani?

No, non sapevo nulla di loro sebbene sia un avido lettore di Andrei Makine, uno scrittore di lingua francese, ma nato in Siberia. Questo mondo però mi ha davvero molto intrigato.

Chiediamo a Nicolai Lilin, allora, di raccontare il percorso che lo ha portato alla trasposizione del suo romanzo. Era appetito da molti registi, ma hai sempre detto no, cosa ti ha colpito invece del progetto di Salvatores?

Nicolai Lilin: Mi ha colpito il fatto che non si sia interessato solo alla storia di un gruppo di criminali tatuati che si uccidono fra loro, ma alla loro umanità.

Nel libro ti riferisci ad avvenimenti realmente avvenuti?

No, assolutamente. Non avevo alcuna intenzione di scrivere un saggio o avere un approccio giornalistico, ma come dicevo ho ricreato una storia umana e attraverso le esperienze dei singoli ho avuto modo di raccontare anche il crollo della Russia sovietica. E’ però una storia universale.

Gabriele, ci racconti il lavoro di adattamento del romanzo?

Gabriele Salvatores: Con Stefano Rulli e Sandro Petraglia abbiamo per forza di cose dovuto trovare una singola linea narrativa nel romanzo e a malincuore ho dovuto tagliare una quantità enorme di situazioni legate a personaggi inediti meravigliosi, come quel ragazzino che viveva da solo in un vagone abbandonato e veniva chiamato il ferroviere. Purtroppo, e lo sapevamo, era impossibile poter inserire tutto, il mondo raccontato era davvero molto molto articolato.

Il film è ambientato a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, in un momento storico non distante, ma che sembra lontanissimo. Come hai lavorato su questa particolarissima sensazione?

Io ritengo Educazione Siberiana un film in costume. Abbiamo girato in Lituania dove non ci sono scritte in cirillico e con la scenografa Rita Rabassini abbiamo dovuto ricostruire tutto da capo, cercando costumi e oggetti dell’epoca.

Questo a livello ‘pratico’, immagino che sia stato ancora più coinvolgente raccontare il percorso di crescita dei due protagonisti?

Sì, perché se il mondo attorno a loro cambia, anche le loro vite sono ad un punto cruciale, sono bambini che diventano adolescenti e poi entrano nella fase adulta. E’ un momento delicato. Penso che l’infanzia debba essere sempre protetta, nessun bambino chiede di venire al mondo, ma dal momento che nasce, beh, bisogna che qualcuno si prenda delle responsabilità per loro.

Ti sei lasciato ispirare da C’era una volta in America?

Sergio Leone è uno dei registi che amo di più e il mio grande maestro cinematografico è stato Nino Baragli che ha montato i film di Federico Fellini, Pierpaolo Pasolini e Sergio Leone. Qualcosa mi avrà lasciato in eredità, no? Per rispondere alla domanda, quello è il cinema che piace a me, grande, con tante storie.

Nella tua carriera poi ti sei sempre divertito a cercare sempre qualcosa di nuovo…

Il giorno che non mi divertirò più penso che smetterò con questo mestiere. In realtà il cuore del mio cinema resta lo stesso, ci sono dei temi riconoscibili, a cambiare è la forma.

La parola adesso passa agli attori, raccontateci la vostra esperienza sul set…

Eleanor Tomlinson: Ho cominciato a documentarmi su Gabriele quando il progetto era ormai avanti. Che posso dire se non che è stato bellissimo il modo di coinvolgermi e il fatto di poter lavorare al fianco di due giovani interpreti come Arnas e Vilius e grandi attori come John Malkovich. Gabriele mi ha davvero permesso di brillare nel ruolo.

Arnas Fedaravičius: Confesso che non conoscevo Gabriele e appena ho visto la sua filmografia sono rimasto scioccato. Sono un emotivo e in quel momento ho realizzato la grandezza del progetto a cui stavo per partecipare. Lavorare con lui è stato semplicemente magico.

Vilius Tumalavičius: Di Gabriele mi ha impressionato la calma e la sua grande caratteristica di comprenderti nel profondo. Sa trovare un modo diretto per parlare a te e solo tu puoi capire. E po quando sbagliavo non si arrabbiava mai.

Se dovessi scegliere uno dei precetti di nonno Kuzja, quale sceglieresti Gabriele?

Gabriele Salvatores: Questo, ‘Un uomo non può possedere più di quello che il suo cuore può amare‘. Se lo facessimo tutti nostro questo concetto, vivremmo meglio.

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