Cannes 66: intervista ai vincitori

KECHICHE: “HO GIÀ IMMAGINATO LE AVVENTURE CHE POTREBBERO ACCADERE AD ADÈLE IN UNA STORIA CHE CONTIENE ALTRI CAPITOLI DELLA SUA VITA”

Chi ha avuto la fortuna di essere in sala alla prima de La vie d’Adèle (chapitre 1 & 2) lo sapeva, lo sentiva.

Di applausi ce ne sono stati tanti, e meritati, durante il Festival di Cannes appena concluso, ma dopo le tre ore della meravigliosa storia d’amore raccontata nel lungometraggio di Abdellatif  Kechiche è accaduto qualcosa di diverso: sarà perché girare un film con la camera a spalla rende visivamente più semplice entrare in una storia, sarà che l’amore tra le due protagoniste è così naturale che poco conta il fatto che loro siano due donne, conta il fatto che quel sentimento è catartico è qualcosa che chiunque ha vissuto o vorrebbe vivere.

Non importa con chi, importa che l’amore è universale e che l’amore, e la vita che ne deriva e che gli passa attraverso, è così che si racconta: senza tralasciare alcun particolare.

Abbiamo intervistato il regista e le protagoniste del film che ha vinto la Palma d’oro.

Kechiche, cosa la ha interessata della graphic novel da cui è tratto il film?



Kechiche:  La storia di un incontro che finisce per rovesciare sottosopra la vita della protagonista, portandola alla scoperta di sé stessa. E poi mi interessava proprio il processo di adattamento di una storia del genere, originariamente ambientata negli anni ’90, in uno sfondo di contestazione militante e politica che ho preferito tenere fuori dal film per concentrarmi sugli aspetti più intimi e le diverse fasi di questa relazione. Per questo nel film uso così tanti primi piani, ancora di più di quanti sia abituato a farne di solito: con i primi piani riesci a catturare anche istanti dei volti che a occhio nudo ti sfuggono.


Il film è costellato da un alto numero di scene di sesso molto esplicite girate però con una grande spontaneità, come ci è riuscito?


Kechiche: Trovo paradossalmente più difficili da filmare le scene di pranzi o cene a tavola, dov’è complicato riuscire a raggiungere quella naturalezza della realtà. Nelle scene di sesso invece hai già i corpi a disposizione, sta tutto nel riuscire a catturare la luce giusta, il mood adatto, quegli istanti di bellezza sui volti e sulla plasticità delle membra.



Adèle Exarchopoulos: È  una naturalezza che Abdel rende possibile attraverso il suo modo unico di girare e lavorare sul set. Rende tutto talmente spontaneo che non sai mai quando stia effettivamente riprendendo la scena e quando invece si sia a camere spente, fuori dal set. 



È stato così anche per Léa Seydoux? 



Seydoux: Quello che è più eccitante nel girare un film con Abdel è proprio questo elemento di flusso continuo ed infinito della ripresa: questo gli permette di avere un milione di possibilità, ogni istante il film può cambiare completamente, diventare un’altra cosa. Quello che lo rende un regista unico è appunto questa sua capacità di decidere e girare il suo film decidendolo al momento, istintivamente.



Vedranno la luce prima o poi gli altri capitoli della storia di Adèle?



Kechiche: È  dai tempi de La schivata che ho puntualmente problemi a lasciarmi i miei personaggi alle spalle. Stavolta l’occasione è davvero ghiotta e ho già immaginato una grande quantità di nuove avventure che potrebbero accadere ad Adèle. Al momento si tratta solo di idee, ma mi eccitano parecchio, dunque in futuro chi lo sa?

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