La vita di Adele: recensione film

ABDELLATIF KECHICHE CON LA SUA REGIA RIESCE AD ANNULLARE LA DISTANZA TRA LO SPETTATORE E L’EROINA DEL SUO LUNGOMETRAGGIO

La_vita_di_adele_poster_italianoGENERE: drammatico

DATA DI USCITA: 24 ottobre 2013

DURATA: 187′

VOTO: 4,5 su 5

Ci sarebbe da chiedersi a quale punto dell’opera di Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux, La vita di Marianna, fosse arrivata Adèle e se già avesse letto la frase che recita “bisogna dire che la terra sia un soggiorno ben straniero per la virtù, visto che la virtù ci soffre tanto” quando la incontriamo per la prima volta tra i banchi del liceo di Lille.

Continuando a guardare la sua storia nel lungometraggio La vita di Adele di Abdellatif  Kechiche che, come quella di Marivaux, racconta l’amore con acutezza e passione si direbbe che a quel punto del romanzo la protagonista ci sia arrivata e abbia capito alla perfezione il suo significato profondo.

Kechiche nel suo film ritrae 10 anni  cruciali della protagonista: Adèle la conosciamo che ha solo 15 anni e il suo unico compito è quello di capire chi è e cosa offre il mondo, cosa offre la vita e lo fa attraverso un amore che la porta a crescere e la rende adulta passando per tutte le sensazioni che l’esistenza offre dalla gioia al dolore, dalla spensieratezza alla responsabilità dall’inizio alla fine di un sentimento.

Poco conta, in questo caso, che l’affetto di cui si parla sia quello tra due donne.

Il cineasta riassume nella sua pellicola poesia e carnalità in un lavoro ricco di primissimi piani e di particolari, ripresi tramite alla camera a spalla che non si stacca mai dai volti o dai corpi delle protagoniste. Kechiche non risparmia nulla neanche esplicite scene di sesso tra le quali una, la più lunga e intensa, è un sensazionale ed estetico ritratto d’amore passione e verità funzionale a un racconto che vuole e riesce ad essere reale e mai voyeuristico.

Abbiamo già visto dalle precedenti pellicole del cineasta turco (Cous Cous, Venere nera, La schivata) che la sua intenzione, e la sua poetica cinematografica, è quella di non mettere distanze tra il personaggio e pubblico: Kechiche porta con forza lo spettatore all’interno delle sue storie e in questo lungometraggio, tratto dal fumetto Le Bleu est une coleure chaude di Julie Maroh, lo fa più di ogni altra volta.

Siamo al fianco di Adèle e non c’è parte della sua vita o del suo corpo di cui non veniamo a conoscenza. È come se sentissimo il suo odore e toccassimo le sue lacrime e facessimo parte del suo amore, anche quando lo fa, soprattutto quando lo fa. Non c’è e non serve immaginazione: il cineasta da tutto e chiede tanto. Chiede di sopportare la realtà da molto vicino.

Niente di questa fusione tra pubblico ed eroina ovviamente sarebbe potuta esistere se a interpretare la protagonista di La vita di Adele non ci fosse stata la straordinaria Adèle Exarchopoulos che dona talmente tanto di se nelle tre ore in cui è in scena che le sue nudità sono forse ciò che colpisce di meno in quanto grazie al regista sono ciò che devono essere: qualcosa di naturale

La vita di Adele è un’opera straordinaria un film che nella semplicità di una trama non sofisticata, grazie alla resa registica del suo cineasta, è in grado di portare all’interno di quella vita che racconta lo spettatore il quale, molto spesso, prende Adèle per mano nel miracolo della vista che si trasforma quasi in tatto.

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