Giulio andreotti: icona del cinema che salvo’ cinecitta

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Tanto si è detto e si dirà ancora su Giulio Andreotti, il re della politica italiana, colui che, attraversando la storia del nostro Paese, lo ha plasmato in silenzio per 50 anni, con tutti i misteri e le contraddizioni del caso.

Oggi Andreotti non c’è più e con lui muore la nostra politica, fatta sì di ombre e misteri irrisolti, ma anche di alcune, sporadiche luci, tra le quali brilla quella del suo apporto all’industria cinematografica.

Come ben sapete, quasi sempre distaccati e disinteressati, sono stati i nostri politici nei confronti del cinema, ma lui no. Il “nostro” Andreotti (perché uno che è stato eletto 7 volte premier, è ormai, nel bene e nel male, di nostra appartenenza), ha avuto sempre legami molto vicini con l’industria cinematografica e, infatti, portano la sua firma, il decreto di riapertura di Cinecittà, la legge a tutela della produzione industriale e l’impegno per la protezione dell’identità nazionale.

Pensate che, gli esponenti del partito comunista, nonostante le grandi differenze ideologiche che intercorrevano tra loro, hanno sempre riconosciuto il suo grande impegno per il cinema; molti produttori lo vedevano di buon occhio e anche alcuni artisti, in primis, Alberto Sordi, che con Andreotti fu legato da una reale amicizia.

Proprio tale sua natura vicina all’arte, lo ha condotto a diventare una vera e propria icona dello schermo. Gli onorevoli del ’63 con Toto’, Il tassinaro di Alberto Sordi dell’83, sono solo alcune delle tante conferme che al “Divo Giulio”, piaceva moltissimo giocare con la sua immagine, reduce infatti, da un’educazione americana. Vi ricorda qualcuno?

Non finisce qui, Andreotti, non si è sottratto nemmeno alle telecamere di Tatti Sanguineti che per anni ne ha raccolto i ricordi e le confessioni in un video-ritratto pieno di luci e ombre accreditate dallo stesso protagonista.

Certo è che non tutti usarono il grande schermo per elogiare il grande statista, qualcuno, anzi, lo fece per mostrare le ombre della sua politica, e ogni volta le reazioni non si fecero attendere: Il Padrino III di Francis Ford Coppola (1990), I banchieri di Dio di Giuseppe Ferrara sul caso Calvi (2002), e infine, il più recente, Il Divo di Paolo Sorrentino.

Nel bene e nel male, dunque, Giulio Andreotti ha fatto parte della nostra storia e del nostro cinema, e con il suo aspetto cinico e disincantato ci ha lasciato definitivamente il suo segno che da oggi appartiene al passato. 

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